Onorevole Carlo Tognoli, Letizia Moratti il 25 aprile ha scelto di celebrare Antonio Greppi.
«Il giusto omaggio a un passato di grande qualità».
Il sindaco della ricostruzione, ma anche un grande socialista.
«Da giovane frequentava il salotto di Critica sociale di Turati e della Kuliscioff».
Come interpreta il gesto?
«Il richiamo a una tradizione socialista riformista importante».
Il capolista del Pd Stefano Boeri la attacca dicendo che non c’è niente di più lontano di lei dal riformismo di Greppi.
«In campagna elettorale c’è sempre strumentalizzazione. Ma quello della Moratti è un omaggio che fa piacere. Ma anche Giuliano Pisapia dice di volersi rifare a Greppi».
Un’eredità utile per amministrare ancora Milano?
«Non dimentichiamo che i veri eredi di Greppi sono i socialisti riformisti degli anni Sessanta, Settanta, Ottanta, quelli che sono stati a Palazzo Marino. Bettino Craxi, Aldo Aniasi».
Non dimentichiamo.
«Ma che oggi la Moratti si richiami a quella tradizione è sicuramente un fatto positivo. Anche se forse se ne potevano accorgere prima».
Cosa significa ricordare Greppi?
«Tutto ciò che richiama la ricostruzione va bene. Significa che si ha voglia di fare».
La Moratti ha parlato di spirito di concordia e riconciliazione.
«Ricordo che Greppi in un discorso alla radio dopo il 25 aprile invitò a chiudere con la violenza, a non farsi giustizia da sé».
Un invito rivolto a chi?
«A tutti, fascisti e partigiani. E lui era partigiano e perse un figlio partigiano colpito in piazzale Baracca».
Tempi diversi, ma oggi c’è bisogno di un appello alla concordia?
«Se tutti si rifanno a quell’insegnamento è positivo. E di questo dobbiamo ringraziare il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano».
Perché?
«Per il suo invito a riportare il confronto sul piano delle idee. Si può far polemica anche discutendo. Spero che questo ricondursi di destra e sinistra al riformismo socialista e cattolico, sia di buon auspicio».
L’eredità del socialismo?
«Il socialismo è cosa antica. Ma può rimanere l’esigenza di amministrare occupandosi dei meno abbienti, ma guardano allo sviluppo della città grazie al mondo imprenditoriale e alla borghesia illuminata».
C’è una borghesia illuminata?
«Con Geminello Alvi dico che c’è, ma è una strana élite che scompare il venerdì sera».
Non era così una volta?
«I padri e i nonni avevano le ville in Brianza o al lago, ma sabato e domenica rimanevano a Milano a pensare al destino della città».
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