Tokyo in maniche di camicia

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Giuseppe de Bellis

Junichiro Koizumi ragiona meglio senza giacca. Di cravatta neppure se ne parli. In Giappone adesso si fa così: ministri, sottosegretari, parlamentari e dipendenti pubblici corrono verso il loro posto di lavoro in maniche di camicia. È l’ultima riforma voluta dal premier «diverso e stravagante», come lo chiamano a Tokyo. C’entra poco con moda e costume, molto con un Paese che fatica a uscire dalla crisi economica e che con l’estate alle porte vive angosciato l’idea di accendere i condizionatori d’aria a tutta manetta e poi trovarsi con una bolletta carissima. Alla ricerca di una soluzione, allora, il governo ha pensato a «Cool biz», ovverosia fresco-affari, il nome di questa campagna che vuole combattere in una volta sola l’eccessivo consumo di energia elettrica, il caldo e l’emissione di gas nell’ambiente. Dal primo giugno al 30 settembre di ogni anno, nelle strutture statali nessuno dovrà presentarsi in giacca. Però non avrà alcun rimprovero, alcun muso lungo. È la legge.
Lui, Koizumi, è stato il primo a dare l’esempio. Ieri s’è presentato davanti alla nazione con una camicia azzurra di lino: «Guardate come si sta bene così. Mi sembra di essere a Okinawa, nel più profondo sud dove fa molto caldo, ma la gente si adegua vestendo leggero. Mi auguro che tutti, anche nel settore privato, seguano questo esempio». Con lui Hiroyuki Hosoda, portavoce del governo: «È molto meglio. Siamo tutti più rilassati». Tra molti sorrisi e un tantino di imbarazzo l’esordio ufficiale della nuova divisa del pubblico impiego nipponico è stata la notizia del giorno. Ha preso il titolo di apertura del principale notiziario della rete statale Nhk: servizi su servizi, con le immagini dell’andirivieni degli impiegati in maniche di camicia, messe a confronto con quelle del giorno, prima piene di giacche e cravatte.
Ora che il governo ha varato la deregulation dell’abbigliamento, la gente giapponese prega che questo basti per evitare di boccheggiare tra pochi giorni, quando il caldo diventerà opprimente. A giugno, in quasi tutto l'arcipelago giapponese comincia la stagione delle piogge monsoniche che prosegue fino a luglio avanzato, con un clima umido e afoso che scatena la corsa all'accensione dei condizionatori d'aria. L’afa continua imperterrita in agosto e si prende anche un bel pezzo di settembre. È per questo che il Giappone è uno dei Paesi al mondo dove i consumi derivanti dai condizionatori è tra i più alti del pianeta. Nel 2002 si calcolò che i bocchettoni attivi in Giappone consumassero quanto quelli americani, con la differenza che negli Stati Uniti gli abitanti sono quasi il triplo. In quei giorni, sotto un sole che non dava tregua neppure per un secondo, il quotidiano Mainichi cominciò a contestare l’obbligo morale che i giapponesi s’erano dati di non togliersi mai giacca e cravatta in ufficio. E quella che all’epoca pareva una provocazione, tre anni dopo è diventata un decreto. «Dobbiamo fare il possibile per risparmiare energia e per abbassare l'emissione di gas nocivi nell'atmosfera», ripete da giorni Koizumi, secondo il quale il «Cool biz» consentirà di innalzare di qualche grado la temperatura dei condizionatori d'aria, riducendo così i consumi di energia elettrica. E i grandi magazzini di Tokyo hanno lanciato la moda «Cool biz», con camicie che, assicurano, «fanno fare bella figura anche senza cravatta». E bella figura la farebbero anche i commercianti: i solerti uffici di statistiche del governo hanno calcolato che se i 250mila statali di sesso maschile acquistassero in massa il completo «Cool biz» ci sarebbero vendite per 10 miliardi di yen, 75 milioni di euro.

Se poi i circa 15 milioni di impiegati maschi del settore privato volessero unirsi alla campagna, porterebbero ai consumi interni altri 600 miliardi di yen, 4,5 miliardi di euro: un aiuto contro il caldo, una spallata alla crisi economica.
Giuseppe de Bellis

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