«Tolleranza zero con il far west dei locali»

Non esiste, fa sapere il procuratore aggiunto Nicola Cerrato, un «asse» tra Comune e magistratura per mettere i sigilli ai locali della movida milanese che non rispettano le regole. Le due istituzioni, spiega, si muovono ognuna per suo conto: e non sempre nella stessa direzione. Ma la politica della Procura della Repubblica, come la enuncia Cerrato, è netta: «tolleranza zero» verso chi sgarra. Il diritto della città a divertirsi non può prescindere dalle esigenze della sicurezza e della legalità.
Nel pieno delle polemiche seguite alla chiusura di due locali storici della notte milanese, le «Scimmie» di via Ascanio Sforza e la «Casa 139» di via Ripamonti, Cerrato - a capo del pool che in Procura si occupa di ambiente e sicurezza - spiega al Giornale i motivi della linea della fermezza. Che continuerà ad essere applicata, nonostante le proteste di chi la considera un modo per «spegnere la città».
Il vicesindaco De Corato a chi protestava contro la chiusura della «Casa 139» ha risposto che la decisione è stata presa d’intesa con la Procura. É così? Vi mettete d’accordo su quali locali della movida vanno chiusi?
«Niente affatto. Non esiste un rapporto di collaborazione con il Comune. Non ci consultiamo, non prendiamo decisioni insieme. L’unica vicenda in cui venne elaborata una sorta di strategia comune fu quella dei concerti a San Siro, dove i residenti avevano sporto denuncia per superamento delle soglie di inquinamento acustico. Negli altri casi, il Comune si limita a mandarci le sue segnalazioni, e noi decidiamo autonomamente quali meritano accoglienza e quali no. Tutto qua».
Però è un dato di fatto che i locali sigillati continuano ad aumentare. E il «popolo della notte» protesta.
«Possono protestare quanto vogliono, ma il nostro compito è applicare la legge. Quando ho iniziato ad occuparmi del mondo dei locali notturni milanesi mi sono trovato di fronte ad un far west, dove il rispetto delle regole sembra che sia un optional. Sa cosa ho fatto? Ho creato una squadra di cui fanno parte la Pas, cioè la Polizia amministrativa e sociale, i vigili del fuoco e la annonaria. Se del caso, intervengono anche la Guardia di finanza e la Siae: e posso garantire che quando arrivano loro sono quasi sempre dolori».
Quanti locali avete chiuso?
«Molti. Una sessantina».
Erano tutte chiusure necessarie? Non si poteva invitare i gestori a mettersi in riga?
«Questo non compete alla Procura ma al Comune. Io ho spiegato all’assessore Giovanni Terzi che dovrebbe essere il Comune a dire: se non ti sistemi ti chiudo per una settimana, poi per un mese, poi ti denuncio. Invece i controlli non vengono fatti. Per svariati motivi, ad usare un eufemismo».
A furia di chiusure, però, ci vanno di mezzo la cultura e il divertimento. Lo ha detto proprio l’assessore Terzi.
«Ribadisco: e io cosa dovrei fare? Lasciare aperti locali dove si servono cibi cucinati in condizioni inimmaginabili? O mettere a rischio l’incolumità dei ragazzi, dei nostri figli che frequentano questi locali? Ricordiamoci dell’Hollywood, dove quattro uscite di sicurezza su otto erano inagibili perché erano stati creati i privè in cui poi si spacciava la droga, e dove invece di settecento persone ne entravano milleduecento. Se fosse scoppiato un incendio sarebbe stato un massacro. É questo il rischio che vogliamo correre? Se si vuole tutelare il diritto dei milanesi, in particolare dei giovani, a divertirsi la sera, questo passa per il rispetto delle regole da parte dei gestori. Da parte nostra la linea non può essere altra che quella della zero tolerance».
Ma sono stati chiusi anche locali come la «Casa 139» la cui colpa principale sembra che fosse la mancanza di licenza: in teoria era un circolo Arci, in realtà poteva entrare chiunque. Non c’erano altre soluzioni?
«Esiste una direttiva del ministero degli Interni che detta le regole per questo tipo di realtà. Se con l’artificio del circolo culturale o dell’Arci fanno i furbi per non pagare le tasse o evadere le norme sulla sicurezza, noi dobbiamo chiuderli.

E guardi che la scelta della fermezza ha avviato un circolo virtuoso: sono sempre di più i gestori che si mettono in regola spontaneamente. Oppure, se scoprono che gli costerebbe troppo, chiudono, come hanno fatto i cinema President e Orchidea».

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