Ha cambiato anche il look per presentare il suo nuovo cd 24 Hours. Non più il belluomo azzimato (poi col vizietto del lifting) ma un ultrasessantenne ruspante (gallese doc), con barba baffi e maglietta per sottolineare la sua rinascita rhythmnblues. Tom Jones è tornato, a 68 anni debutta come autore di canzoni, rilegge Springsteen e Tommy James, trova la penna di Bono degli U2 pronta per scrivergli lironica Sugar Daddy. «Bono mi ha trasformato in cantautore; ci siamo incontrati a notte fonda in un club di Dublino, ha voluto sapere tutto su di me e ha scritto quel pezzo che è la mia fotografia».
E questo lha spinta a mettersi a scrivere.
«Bono è stata la scintilla. In più non trovavo in giro brani adatti da incidere, quindi è diventata una necessità».
Da «Delilah» a «Sexbomb» al nuovo cd: chi è oggi Tom Jones?
«Uno che vuol tornare alle radici rnb e soul degli anni 60 unendole ai suoni upbeat di Amy Winehouse e Duffy. Cerco di non imitare nessuno perché oggi la musica è tutta uguale. Tutti - giustamente - seguono i filoni di moda».
Lei invece sa giocare su tutti i campi.
«Nel 1987 incisi Boy From Nowhere, ballata dedicata a El Cordobes che piaceva ai più anziani, e lanno dopo Kiss di Prince; e vidi la gente litigare per decidere quale fosse il vero Tom Jones. In realtà entrambi mi rappresentano anche se sono completamente diversi».
Fino a che punto si riconosce nel brano scritto per lei da Bono e nella cover di «The Hitter» di Springsteen.
«Il brano di Bono è ironico anche se autobiografico, quello di Springsteen serio e impegnato: vorrei saper scrivere come lui».
Si sente più libero oggi rispetto al successo di «Reload», album pieno di collaborazioni e canzoni che puntavano alla hit parade?
«Ora spero di arrivare in classifica con le mie canzoni. Ma non ho mai inciso un brano che non mi piacesse; solo uno, Whats New Pussycat di Bacharach. Non mi andava, poi mi spiegarono che era per un film un po pazzo di Woody Allen e in effetti la canto ancora con piacere».
Tre momenti da incorniciare della sua lunga carriera.
«Il primo successo, Its Not Unusual che mi cambiò la vita; il mio show televisivo in America e lessere stato nominato sir dalla regina Elisabetta».
Cosa pensa una grande voce di show come X Factor?
«È il segno dei tempi; noi partivamo dai piccoli club, questi ragazzi debuttano davanti a milioni di persone, è unarma a doppio taglio».
Vede un suo erede?
«Robbie Williams, non come voce ma come intrattenitore e uomo di spettacolo».
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