Tomás Bustos Sanchez

Questo spagnolo nacque nel 1587 a Villanueva de los Infantes. Nel 1607 vestì l’abito dei Trinitari a Cordoba e proseguì gli studi filosofici e teologici. Nel 1612 venne ordinato sacerdote a Cuenca. Ma fin dall’anno in cui era entrato nei Trinitari la salute lo aveva abbandonato. Di aggravamento in aggravamento si ridusse a non poter più lasciare il letto e a letto rimase fino al giorno della sua morte, avvenuta a Madrid nel 1647. Tuttavia, la sua intensa vita religiosa lo aveva compensato con doni carismatici, tra cui profezie e anche miracoli. Ma soprattutto era il dono del consiglio a rendere la stanza in cui giaceva sempre frequentata. A lui veniva gente di ogni condizione, perfino futuri papi. Due nunzi apostolici in Spagna divennero uno dietro l’altro Innocenzo X e Clemente IX. Questi solevano recarsi al suo capezzale quando dovevano affrontare questioni complicate che non sapevano come risolvere. La fama del Sanchez valicò i muri e perfino i confini, tanto che il pontefice Urbano VIII, che ne aveva altissima stima, gli inviò in dono un prezioso crocifisso carico di indulgenze. La figura di questo santo religioso cade a fagiolo perché, mentre scrivo, infuria il dibattito sull’eutanasia.

La Chiesa ha tutte le ragioni nell’opporsi alla «dolce morte» perché sa che, realmente, finché c’è vita c’è speranza, e anche l’ultimissimo momento dell’esistenza può essere fatale e prezioso. La cosiddetta «qualità della vita» non può ridursi alla sola efficienza fisica e al benessere corporeo. È banale dirlo, certo, ma giova ricordare che non siamo meri esseri animati.
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