Andrea Fanì
Prima le battute classiche: «A casa Girardelli e Zurbriggen trovate alcune Coppe del Mondo con su scritto: Grazie Alberto, moralmente sono mie». Poi i classici trofei: 5 medaglie olimpiche (3 ori e 2 argenti), 4 mondiali (2 ori, 2 bronzi), 1 Coppa del Mondo assoluta e 50 vittorie in carriera. Ma più semplicemente Alberto Tomba, uno dei più grandi sciatori d'ogni tempo, ambasciatore degli atleti a Torino 2006 e tedoforo d'eccezione per il Viaggio della fiaccola.
«Più si avvicina la scadenza più crescono le tensioni perché tutto sia perfetto. Ma più si polemizza alla vigilia, più i Giochi saranno eccellenti, vedrete».
È stato nominato da Samsung Ambasciatore degli atleti. Sensazioni?
«A Calgary '88, avevo 21 anni, ho vinto due ori: potevo chiudere la carriera. Sono arrivato fino a Nagano '98, edizione sfortunata per me. Ora la quinta Olimpiade, in un altro ruolo».
Messaggi?
«I Giochi portano pace, amore, unione. Per un atleta, partecipare allOlimpiade significa avere gli occhi del mondo addosso, questa è una competizione massima, pura».
Da ribelle ad ambasciatore. Strano?
«No, ho bisogno di dare messaggi al mondo. Quando gareggiavo, cercavo di cambiare il sistema. Ecco, questo è il ruolo di un ambasciatore. Rappresentare un cambiamento, un miglioramento. Non è facile, su di me ci sono molti pregiudizi. Qualcuno ha cercato di farmi passare per quello che non sono: uno spaccone, un superficiale. Pochi si sono preoccupati di guardare il vero Tomba».
Com'è, il vero Tomba?
«Uno che ha sempre fatto sacrifici. Lavoro in palestra, allenamenti sui ghiacciai, trasferimenti continui. Ma c'è sempre chi sottovaluta questi aspetti. Scrivevano che Tomba sapeva solo girare in Ferrari (me la dava la Fiat per occasioni promozionali), frequentare belle ragazze, abusare del ruolo di carabiniere. La verità è che le mie vittorie erano scomode».
Anche le sue battaglie: per l'uso del casco in slalom gigante, per l'inversione dei primi 15 (e non dei 30) nella seconda manche, per orari di competizione più comodi...
«Mi viene da ridere. Perché ora il casco è obbligatorio, perché ora dicono che l'inversione dei trenta penalizza gli atleti migliori e abbassa il livello tecnico, perché ora le tv si lamentano del calo di spettatori per lo sci».
Mancano i grandi personaggi...
«Stenmark, Klammer, Tomba o la Compagnoni non nascono tutti gli anni. Poi, alle 10 lo sci in tv non piace? Spostiamo le gare tra le 13 e le 15. Invece no, gli atleti sono costretti a fare ricognizioni in pista alle 7, a tremila di quota (se non di più). L'altra trovata è gareggiare di sera. Ma una via di mezzo, tra l'alba e la notte, non c'è?».
Nessuno si lamenta?
«Gli atleti hanno poco potere. Nel discutere i regolamenti siamo dilettanti, poco professionali. Se avessero cambiato un po' le regole, avrei fatto anche l'Olimpiade 2002, a Salt Lake City».
A proposito di Olimpiade. Nel 1984 si svolse a Sarajevo, una città che lei ha nel cuore.
«Andai a Sarajevo nell'87. Città molto affascinante. Poi ci fu la guerra, e io ho sempre avuto il sogno di riportare una gara di sci in quella città. Sarebbe il simbolo di una normalità ritrovata».
A che punto è il sogno, ora che è ambasciatore olimpico?
«Non si tratta di organizzare un concerto, in un luogo chiuso. Le montagne attorno sono ancora minate, sono terreni da bonificare. Ci vorrà del tempo».
Ci vorrà del tempo anche per vedere un nuovo Tomba?
«Beh, Giorgio Rocca mi somiglia, come tecnica e stazza. Anche Benjamin Raich è uno che mi piace».
Tutti grandi atleti, ma fuoriclasse?
«Per limitarmi all'Italia c'è stato Zeno Colò, poi Gustav Thoeni, poi Tomba e la Compagnoni. Si va a cicli, aspettiamo il prossimo».
La Federsci italiana come lavora?
«C'è Flavio Roda, un ottimo tecnico. E un presidente, Gaetano Coppi, che conosce la mentalità degli atleti. Sono ottimista».
Pensa a un futuro da allenatore?
«No. Ho dato tutto da atleta, ora basta. Mi piace dedicarmi ai giovanissimi: aiuto gli organizzatori di SkiPass, la grande festa della neve sull'Appennino modenese, tra fine e novembre».
Lo sci è in crisi?
«Il 2006 sarà pompato dall'Olimpiade. Ed è un bene. Il problema è rinnovare la Coppa. Renderla interessante per i tifosi e meno stressante per gli atleti. Facciamo calendari stile tennis, con donne e uomini che gareggiano a settimane alterne. Poi meno spostamenti: si sceglie un'area geografica ampia per diverse discipline, non bisogna spedire gli sciatori oggi al Sestriere, domani in Usa e dopodomani in Giappone. Creiamo (alcuni l'hanno già fatto) stadi dello sci. E, per finire, ripeto e insisto: programmiamo le gare in orari più televisivi (non la notte, però), e inversione dei primi quindici nella seconda manche».
Per chiudere. Un personaggio-un aggettivo. Pirmin Zurbriggen...
Sorride: «Cupo».
Marc Girardelli.
«Ossessionato. Dalla vittoria».
Armin Bittner.
«Uno che approfittava dei miei errori. Ma la nostra rivalità era, in parte, montata dai giornali».
Jure Kosir.
«Un grande amico».
Martina Colombari.
«Bellissima».
Gustav Thoeni.
«Comprensivo. Una persona che mi ha capito».
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