Com’era viva l’Italia il 17 febbraio di vent’anni fa, quando scoppiò Mani pulite. Si credeva davvero che un Paese si stesse svegliando, a cavallo di movimenti, referendum e magistrati. E che colpendo il malaffare desse il via a una grande stagione di rinnovamento. Sembrava un Paese reattivo, c’era fervore di iniziative, i giudici aveva acquisito grande credibilità con la lotta alla mafia dopo il sacrificio di Falcone e Borsellino. La politica liquidava, con qualche ferocia, un ceto ormai vecchio e spompato e il suo contenitore, la partitocrazia; sinistra e destra sembravano rinfrancate dalla rottura del guscio comunista e neofascista che le aveva imbalsamate per anni.
E una generazione di leader quarantenni guidava la Svolta. Sullo sfondo, la caduta del Muro e del comunismo sovietico, le rivoluzioni dell’Est, Maastricht e l’Europa accendevano le speranze. Dopo 50 anni di stasi, scoprimmo che erano possibili alternanze di governi e che si poteva riformare la Costituzione come il Paese. E la politica reclutava nuovi ranghi dalla mitica società civile.
Di quell’ondata cos’è rimasto in piedi? La società civile si è volatilizzata, i magistrati hanno seguito i politici nel discredito, i quarantenni sono invecchiati male e non hanno mutato nulla; destra, sinistra e politica sono infognate
come e peggio di allora, il malaffare ha ripreso piede e il Paese ha smesso di sperare, è unito solo dalla paura. Di quella stagione ci resta solo un gadget: Tonino Di Pietro, souvenir pittoresco di quella scampagnata.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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