"Tonino, il pittore prestato al cinema che trasformava la luce in poesia"

La nipote Laura racconta il grande direttore della fotografia Tonino Delli Colli, morto vent'anni fa

"Tonino, il pittore prestato al cinema che trasformava la luce in poesia"

Diventare famoso esercitando un mestiere quasi sconosciuto, vuol dire aver fatto di quel mestiere un capolavoro. Così ha fatto Tonino Delli Colli: per la gente del cinema il direttore della fotografia, per gli spettatori il "pittore", che ha creato il biancore calcinato del Vangelo secondo Matteo, i lividi crepuscoli de Il nome della rosa, gli arsi orizzonti di C'era una volta il West, lo scintillante trash tv di Ginger e Fred. A vent'anni dalla morte (17 agosto 2005), e in seguito al libro Tonino Delli Colli, mio padre del figlio Stefano, ripercorriamo la leggenda del "mago delle luci" con la nipote Laura Delli Colli, presidente del Sindacato giornalisti cinematografici e figlia dell'altro grande creatore di famiglia: il cugino di Tonino, Franco.

Un direttore della fotografia ammirato dai cinefili quasi quanto un divo o un regista. Come se lo spiega?

"Perché il senso estetico del pubblico s'è affinato. La gente non sa con esattezza cosa fa un direttore della fotografia. Ma ha imparato a riconoscere la bellezza delle immagini. E quindi la qualità visiva di un film".

Centotrentacinque film, quasi 70 anni di carriera, scelto dai maestri più grandi. Eppure tutto era iniziato quasi per caso.

"Sì: non aveva fatto scuole, andò solo a Cinecittà nel 1937, a cercare lavoro. Reparto suono o luce?, gli chiesero. E lui, istintivamente: luce. Un giorno lo cacciarono pure, perché aveva fatto cadere una cinepresa. Ma era destino. Perdonato, lavorò col grande Ubaldo Arata. E mio padre Franco gli faceva da assistente. Loro erano complementari: Tonino curava il rapporto col regista, papà con la troupe. La loro generazione era fatta da geniali autodidatti, che imparavano l'uno dall'altro, come nelle botteghe del '500".

Roberto Benigni ha detto di lui: "Qualsiasi cosa illuminasse riusciva a ricavarne emozione e spettacolo".

"E ogni volta in modo diverso, a seconda delle diverse sensibilità dei registi. Pasolini voleva il bianco e nero di Accattone molto crudo, drammatico; lui scelse la pellicola Ferrania, poco usata perché dura, e la rese più contrastata ancora col controtipo: stampandone cioè la copia su una prima stampa. Per La voce della Luna Fellini voleva delle lucciole. Oggi le farebbero al computer; lui appese dei fili con lucine in cima a delle canne da pesca, e le fece ballare con dei ventilatori. In C'era una volta in America Leone immaginava tre mondi diversi. E Tonino glieli dipinse: color seppia la New York anni '20; colori neutri per il Proibizionismo anni '30; colori caldi e morbidi per il 1968. La nuvola di farina che avvolge di magia la bambina che balla nel retrobottega, spiata da un commosso Robert De Niro, fu un'idea di Tonino".

Con Pasolini girò molto, da Mamma Roma al Vangelo, da Uccellacci a Salò. Com'erano i loro rapporti?

"Di fusione assoluta. Ma basata sull'istinto, non sulla cultura. Fu Tonino a scegliere Pasolini, non il contrario. Seppe che Fellini s'era rifiutato di produrre Accattone, e che l'aveva passato a Bini: Mi faccia lavorare con quel regista - disse a Bini - so che è un poeta. Appunto replicò quello - non sa nulla di tecnica. E tu chiederesti troppi soldi. Mi dia quelli che ha, insisté lui. La sintonia fra i due era totale. In Mamma Roma la Magnani non voleva che le si vedessero le borse sotto gli occhi. Col truccatore e le luci giuste, Tonino le fece scomparire. Ma poi ottenne da lei che si vedessero al finale, alla morte del figlio. E Pasolini applaudì".

Quali i frutti di questa eccezionale collaborazione?

"Tonino capì che la luce può farsi poesia. Per spiegargli l'atmosfera che voleva ne La ricotta, Pasolini gli mostrava dei quadri di Mantegna. Lui ne assorbiva la luce, e riusciva a riprodurla. Nel Vangelo gli chiese di riprendere i Sassi di Matera all'imbrunire. Ma non c'è luce sufficiente!, protestò. Pasolini insistette. Ne uscirono immagini splendide, cariche di angoscia. Tonino era riuscito a catturare quell'atmosfera".

Fu Tonino Delli Colli a inventare l'inconfondibile "cromatismo" western dei capolavori di Sergio Leone.

"Loro due affrontavano tutto come due compagni di scuola. Per invecchiare De Niro in C'era una volta in America era stato ingaggiato il truccatore di The Elephant Man: costo 80 milioni. Tonino decise di pensarci lui. Applicò sulla faccia di De Niro l'impronta di una buccia d'arancia. Con le luci giuste il trucco era fatto. Leggendaria la storia del ponte che salta in aria in Il buono, il brutto, il cattivo. Era stato costruito appositamente e, per ovvi motivi, poteva esplodere una volta sola. Mentre Leone e Tonino chiacchieravano uno della troupe tirò fuori un fazzoletto. Gli addetti agli esplosivi pensarono fosse il segnale, e... bum! Le cineprese non avevano ripreso nulla. E mo' che famo?, chiese Tonino. E Leone: Mo' annamo a magnà".

Pare però che la proverbiale dilatazione dei tempi nelle riprese di Leone, a volte, esasperasse Tonino...

"Per girare la scena della goccia d'acqua che, all'inizio di C'era una volta il West, cade ad intervalli regolari sul cappello di un cowboy, Leone ci aveva messo un pomeriggio. Ore e ore a cercare la goccia giusta.

A fine giornata, esasperato, Tonino abbandonò il set. Passa un anno e mezzo. I due sono al montaggio. Visionano la scena della goccia. Vedi? lo rimprovera Leone - tu te ne sei andato. E ora a me manca la goccia giusta".

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