Tonnellate di monetine all’Ingegnere Come per Francesco I

Caro Granzotto, leggendo Sallusti e Porro ieri mattina ho tirato un sospiro di sollievo. Il teorema Mesiano non regge nemmeno se assicurato a una gru. Però l’esperienza e la giustizia di rito ambrosiano ci insegnano che talvolta la logica e il diritto possono prendere strade diverse e già il richiamo al diritto civile meno garantista di quello penale fa venire i brividi. Non possiamo escludere che l’azione giudiziaria vada avanti e che Berlusconi si trovi costretto a sborsare i 750 milioni di euro in base a una sentenza che come al solito sarà annullata magari fra una decina di anni. In quel caso come potremo noi che abbiamo votato per Berlusconi e l’abbiamo voluto a capo del governo manifestare la nostra rabbia per questo ennesimo attentato alla volontà popolare? Scendere in piazza, andare alle elezioni anticipate? Mi dica lei.

Piano, caro Battaglia, non è da noi mietere vittime e lei capisce che se si cominciasse davvero a parlare di elezioni anticipate ai «sinceri democratici» verrebbe un coccolone. Attrezzati come sono, con quel nevrotico di Franceschini sul ponte di comando e nonostante le Serracchiani e i Marino che fanno la cresta sui conti spese, col contributo dei D’Alema costituzionalmente votati al disastro e del furibondo appoggio dei repubblicones dei quali è noto l’impietoso bacio della morte, in caso di elezioni anticipate i Democratici riuscirebbero sì e no a raggranellare un dieci-dodici per cento dei suffragi. Il che vuol dire lasciare il campo e finire negli spogliatoi senza passare per la panchina. Però sono d’accordo, caro Battaglia: avendo la Magistratura delle ragioni che la ragione non conosce, seppur remota l’alea che lei paventa - l’ingiunzione a corrispondere in prima battuta e soldi sull’unghia i 750 milioni di euri - non la si può escludere. In tal caso, che fare? Io un’idea ce l’avrei. Monetizzare, però non nel senso di tradurre in termine di moneta, ma in quello di dischetto metallico coniato, di monetina, insomma. E monetizzare con il concorso dei cittadini. Non per venir in aiuto a Berlusconi, che ha del suo, ma per manifestargli un plateale consenso e un altrettanto plateale dissenso nei confronti del golpismo manettaro con toga e tocco. Si tratterebbe di questo: chi ci sta raduna le monetine che ha in tasca o disperse fra portaceneri, vasetti, barattoli e altri ricettacoli del genere. Mettiamo che in media ciascuno detenga un quindici euri in monetine e che risponda all’appello la metà degli elettori di centrodestra. Farebbero 130 e passa milioncini. Naturalmente, ai restanti 600 e passa provvederebbe, magari non proprio a cuor leggero, il Cavaliere, sempre traducendo in moneta metallica - dal centesimo ai due euri - l’ammontare. Fine della prima parte. La seconda prevede che quella marea di monetine sia stivata in - quanti ne servirebbero? - venti o trenta containers a loro volta imbarcati su altrettanti Tir diretti alla dimora svizzera dello svizzero Carlo De Benedetti. E ivi scaricati, vuoto (i containers) a rendere. Per accatastare e mettere al sicuro il grisbì, lo svizzero Carlo De Benedetti dovrebbe necessariamente fornirsi di macchine per movimento terra, ma questo è affar suo. Sempre affar suo sarebbe il procedere al conteggio per accertarsi che l'importo sia quello stabilito dal giudice Raimondo Mesiano. Tanto per avere un’idea, il computo delle monete (d’oro però, e quelle l’elvetico De Benedetti se le sogna) che costituivano il riscatto pagato dalla Francia a Carlo V in cambio della liberazione di Francesco I - anno Domini 1526 - durò otto settimane. Naturalmente non è il disagio causato a De Benedetti che conta, in questa storia.

Conta la valenza simbolico-spregiativa che può assumere la monetina (usata in tal senso, come arma dialettica, principalmente - e qui subentra un consolatorio chi la fa l'aspetti - dai «sinceri democratici». Ne seppero qualcosa Giovanni Leone e Bettino Craxi).

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