da Roma
Walter Veltroni ha trovato «bellissimo» il film Piano, solo, tratto dal suo libro-ritratto Il disco del mondo. Vita breve di Luca Flores, musicista. C'era da dubitarne? Tuttavia, il sindaco capitolino, un po' padre nobile dell'operazione, un po' convitato di pietra alla conferenza stampa di ieri, preferisce mantenere un profilo basso. Tanto da stoppare con largo anticipo i curatori della seconda Festa del cinema, che pure avrebbero accolto volentieri il film di Riccardo Milani, forse respinto dalla Mostra veneziana, forse mai presentato (la faccenda non è chiara). In ogni caso, Piano, solo esce venerdì in 150 copie, distribuito da Raicinema-01. Stasera a Firenze l'anteprima alla presenza dei familiari, seguita da un concerto di musiche del jazzista suicida, con Stefano Bollani al piano. Ci saranno tutti gli interpreti: Kim Rossi Stuart, che incarna Luca Flores con tormentata adesione, Jasmine Trinca, Michele Placido, Sandra Ceccarelli, Corso Salani, Paola Cortellesi, Mariella Valentini, Claudio Gioè, Roberto De Francesco.
Chi è Luca Flores e perché si racconta la sua «vita breve»? Pochi giorni prima di impiccarsi, nel marzo 1995, il pianista incise, in solitario raccoglimento, How far can you fly?, partitura malinconica, dilatata nei tempi, il cui titolo - suppergiù «Quanto lontano puoi volare?» - suonava veltroniano ancora prima che Veltroni l'ascoltasse, scartando un cd ricevuto in regalo. «Cercare di capirlo mi sembrò un dovere. Quella sofferenza chiedeva aiuto, anche postumo», confessò il sindaco-scrittore, per il quale bisogna avere «del dolore dentro per fare buon jazz». In effetti, pur non avendo fatto ricorso a droghe e alcol, Flores appartiene alla gloriosa famiglia dei jazzisti scorticati, maledetti, irregolari. Un destino che sembrò profilarsi sin dall'infanzia, funestata dalla prematura morte in Mozambico della madre (Luca si sentì sempre responsabile dell'incidente d'auto), fino ai giorni degli elettroshock e dell'autodistruzione fisica: un tendine reciso, polpastrelli tagliati, un cacciavite nell'orecchio.
Il film sorvola su alcuni di quei terribili gesti di autolesionismo. «Un freno pietoso, non era necessario mostrare tutto», spiega lo sceneggiatore Ivan Cotroneo. Mentre Milani aggiunge: «Essendo una storia vera, serviva una misura etico-morale. Abbiamo omesso qualche figura, ma solo per concentrarci sul cuore del racconto, senza nascondere nulla. Piano, solo non è un film sul jazz, semmai è il ritratto di un giovane comune, poco incline ad apparire, divorato dal senso di colpa, che attraverso la musica - non la politica, come tanti suoi coetanei - esprime il proprio disagio, la fatica di crescere, il suo rapporto col mondo». Per prepararsi al ruolo, Kim Rossi Stuart ha studiato diteggiatura al pianoforte per un mese. «Dovevo essere realistico, credibile, alla tastiera. Quanto alla persona Luca, non lo chiamerei personaggio, avevo a disposizione tanto materiale: lettere, filmini amatoriali, riprese di concerti. Ho immaginato la sua vicenda come un progressivo viaggio agli inferi».
Il film, classico nell'andamento, si apre col ricordo della disgrazia africana nella quale muore la madre, prosegue col folgorante esame al Conservatorio e mostra via via il rapporto contraddittorio col fratello Pablo e le sorelle Heidi e Barbara, gli esordi avventurosi con l'Invitation Trio, l'amore tormentato con Cinzia, l'incontro con Chet Baker e Massimo Urbani, gli anni dell'annichilimento psichico, presaghi di morte. Non a caso Flores scrisse in una lettera: «Amo quei musicisti che cantano, scrivono e suonano ogni nota come se fosse l'ultima».
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