Il tormentone, viaggio pop dal dopoguerra al Duemila

In «Legata a un granello di sabbia» la storia delle nostre canzonette

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Cesare G. Romana

Odio l’estate, ringhia Bruno Martino. Vamos a la playa, ribattono i Righeira. Modugno, ingabbiato dalla rima, si perde felice «nelle notti d’està». Chiamala, se vuoi, canzone balneare, gaia enclave d’amori effimeri nel grigio del mestiere di vivere. Condannata a fervori episodici come del resto è, per lo più, la canzonetta. Salvo quando a cimentarvisi sono artisti veri, fratelli cadetti dei poeti e talora poeti essi stessi. Endrigo che sospira, trepido: «Quando questa dolce estate sarà finita/ non avrò fotografie/ né conchiglie o souvenir/ ma i tuoi occhi perduti nei miei». Paoli smarrito e rapito: «Il tempo è dei giorni/ che passano pigri/ e lasciano in bocca/ il gusto del sale». Eppoi De Gregori e De André: «Il tuo collezionismo/ di parole complicate/ la tua ultima canzone per l’estate», sogghignano in Tandem.
Dalle stalle alle stelle, vabbè. Ma intanto mezzo secolo di estati canore può offrire più d’uno spunto, se lo si esamini con intelligenza, fiuto sociologico, attenzione all’evolversi del costume di cui la canzone è in fondo una spia. Come fa Enzo Gentile in Legata a un granello di sabbia (Melampo), bel libro che mutua il titolo da un classico di Nico Fidenco ed esplora l’evoluzione del linguaggio, del mercato, della mentalità dalla ricostruzione postbellica all’alba del terzo millennio. Riconoscendo certo che «un disco per l’estate raramente è stato un disco per l’esteta», come puntualizza Gianni Mura nella perspicua prefazione, ma puntualizzando che in queste canzoni «costruite per acchiappare» si può leggere molto di noi: fatte come sono «di scelte lessicali in grado di definire un genere, di fotografare un’epoca, di fare scuola». Capaci di raccogliere «lo spirito bonario e provinciale di chi canta l’aria che respira e non ha ancora alzato le vele alla ricerca del vento che tira».
Galeotto fu il juke boxe, che negli anni Sessanta portò sulle spiagge le lepidezze di Edoardo Vianello, la verve adolescente di Morandi, il proto-rock di Celentano, Mina e Caselli e tutto il «kitsch del pop» inerente. Poi ecco il Cantagiro, il Discoestate e il Festivalbar che rovesciarono canzonette per le strade e nelle piazze (ma non solo canzonette: al Discoestate debutta Alice di De Gregori e Michele impone Susan dei marinai, coautore non dichiarato De André). Gentile arricchisce il suo viaggio con testimonianze di protagonisti, chi tuttora in auge, chi sparito dopo il primo successo: così ecco Paoli e Caterina Caselli, Ricky Gianco e Mario Tessuto, Shel Shapiro e Renzo Arbore, che non ha mai disdegnato «d’inventare musichine che possano piacere al popolo dell’estate», sentendosi «un po’ bagnino che fa ballare tutti».
Questa del resto è la funzione della canzone estiva: agevolare gli amori stagionali, offrire alle vacanze l’adeguata colonna sonora. Con risultati spesso perfetti: provate a cambiare una virgola a Stessa spiaggia stesso mare di Piero Focaccia, a Una rotonda sul mare di Bongusto, a Un’estate al mare di Giuni Russo e Battiato, a Saint-Tropez twist di Peppino di Capri, a Sei diventata nera dei Marcellos Ferial. E poi ai capolavori d’un Vianello - Abbronzatissima su tutti - ben consapevole «che la gente aveva una gran voglia di divertirsi, e per riuscirci ballare era il modo più semplice».
Ecco, da questa primordiale filosofia sono nati quei tormentoni da spiaggia che da decenni fanno sbadigliare noi critici e svagano milioni di ragazzi, poiché «l’autore dell’estate - dice Gentile - è colui che sa portare frescura nelle strofe, solletica e sollecita, muove e commuove». Ci vuole talento, non è mica facile raccontare in tre minuti «quel modo di vivere spensierato e sereno - annota Mino Reitano - che trovava nelle vacanze un punto d’arrivo», quando «la gente era felice con un gelato, una pizza, una birra e canzoni come le nostre funzionavano come giusto accompagnamento».
E ha ragione anche Morgan, «alla riscoperta di quei brani sono rimasto abbagliato», sembravano così frivoli ma c’erano «arrangiatori e musicisti di primissimo ordine». Tant’è che negli anni Ottanta Ivan Cattaneo ne reinterpretò molti, con tonante successo. E poi, dice Gentile, dopo le pagine luttuose della nostra storia «una stagione di letizia, di gaudio e di disimpegno» serve «per riprendere vigore».

Così ecco ai fervori e alle inquietudini degli anni Sessanta, al piombo dei Settanta, allo yuppismo degli Ottanta, alle insicurezze dei Novanta contrapporsi la balnearità gaia che la canzonetta sa darci. E se l’estate è, ammette Jovanotti, «un rito necessario», ben vengano ieri il Casadei di Ciao mare, oggi il Simone Cristicchi di Vorrei cantare come Biagio, che male c’è.

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