Torna Elton John geniale pop star dall’anima kitsch

Non si può certo dire che Elton John - autobattezzatosi «regina madre del pop» - sia pigro dal punto di vista artistico. S’è appena riempito le tasche di dollaroni con un contratto di cinque anni al Caesar’s Palace di Las Vegas (chiusosi da poco dopo quasi 250 concerti con il celebre «piano rosso») e poi è ripartito in tournée in giro per il mondo. Pochi giorni fa ha tenuto anche un concerto estemporaneo e applauditissimo a Napoli per la festa di Piedigrotta. Un po’ suona con la sua band, un po’ da solo voce e pianoforte e questa è indubbiamente la sua versione migliore. Lo abbiamo visto l’anno scorso in piazza San Marco, a Venezia, in uno show emozionante nell’infiammare il ricordo annodandolo col presente. Martedì invece sarà al Forum di Assago (ore 21, www.ticketone.it) ma non da solo: porterà infatti con sé sul palco il percussionista Ray Cooper, antico compagno d’avventura nella Elton John Band (hanno suonato insieme in coppia in Russia nel tour Single Man del 1979 e 7 anni dopo in quello australiano con la Melbourne Symphony Orchestra) e collaboratore di Who, Rolling Stones, Eric Clapton e di cento altre star del rock. L’ultima volta si esibirono insieme una quindicina di anni fa. La storia di Elton John la conosciamo tutti; quella di Cooper solo gli appassionati. Le sue fantasiose ed articolate percussioni hanno impreziosito i concerti e le opere di Carly Simon, David Essex, tenuto concerti benefici con Mick Jagger, Jimmy Page, Bill Wyman. Ora è tornato all’ovile. Si prepara quindi un duo intimista ma rockeggiante. Elton è cambiato: «Faccio concerti per solo pianoforte per ricordarmi che sono un musicista e non un circo itinerante». Parole forti per uno che ha fatto del kitsch e della follia la sua bandiera di vita. Non ha mai avuto il phisique du rôle, neppure quando indossava eccentriche parrucche, improbabili occhiali e assurdi travestimenti; ora più che mai punta tutto sulla musica, sulla forza emotiva delle canzoni, su un campionario di brani che potrebbe suonare ad occhi chiusi ma su cui continua a lavorare improvvisando, colorando con nuove pennellate, nuovi ritmi, maestro nel dilatare le sue ballate, nell’allungarle arricchendone la cornice tematica e spruzzandole di ragtime, cavalcate boogie woogie, passaggi honky tonk, volteggi rock and roll. Non il classico concerto pop ma piuttosto un concerto di pop classico, che si aprirà con The One per poi toccare pagine che non hanno bisogno di commento come Your Songs, Sorry Seems to Be the Hardest Word, l’amatissima Candle in the Wind dedicata prima a Marilyn poi a Lady D, e via via le più agitate Rocket Man e The Blues (non dimentichiamo che Elton viene dalla gloriosa scena blues britannica e ha preso il nome di battaglia da due dimenticati eroi di questa musica come Elton Dean e Long John Baldry). Qualcuno potrebbe pensare che giochi sul velluto con un repertorio così importante, ma lui i brani li piega al suo volere, a tratti li stravolge tirando fuori un misto di romaticismo e selvaggia vivacità che sorprende sempre.

E anche il suo stile pianistico è sempre più maturo, ora essenziale ora pomposo, ora tecnico ora lirico, con quelle dita tozze che volano sulla tastiera e mostrano la stoffa dell’artista, facendosi perdonare gli eccessi di gayezza e i funambolici colpi di teatro, come accadde (soprattutto) nei periodi più bui. Un artista storico che vive nel presente e collabora con star di oggi come Eminem e gli ALice In Chains.

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