Uno così va preso per quello che è. Sa giocare a pallone. Basta e avanza. In un’epoca di muscoli e di ripartenze, di intensità e diagonali, Zlatan Ibrahimovic appartiene alla tribù dei calciatori in via di estinzione, il genio, l’arte, il dribbling, il colpo di tacco, il tunnel, il pallonetto. Uno così non può piacere agli allenatori, non a tutti. Perché non rientra negli schemi, perché non partecipa come si dovrebbe, perché non fa spogliatoio, perché, perché, perché. Non a tutti gli allenatori, ho detto. Per lui aveva perso la testa, in senso buono, Fabio Capello che l’aveva cercato a Roma e poi trovato a Torino dove, Ibra, sarebbe rimasto senza i guai di calciopoli. In verità il primo italiano ad andare a scovarlo in Svezia, quando Zlatan era già alto più alto della comitiva, era già il più bravo della banda, fu Piero Frosio, ex cervello del Perugia, uno che sente profumo di calci lontano mille chilometri, a individuarlo al Malmoe, direi inutilmente perché nessuno volle credergli o difarsi. Si potrebbe dire che Ibrahimovic arrivi al Milan con almeno sette o otto anni di ritardo; non ho sbagliato i calcoli, non c’entra l’estate maledetta del duemila e sei, quando l’affare tra Juventus e Milan era quasi fatto prima che l’Inter mettesse le mani e il contratto sullo svedese. Dicono i docenti di football che Zlatan Ibrahimovic abbia il cuore freddo e che, puntualmente, tradisca la squadra nel momento più importante. La cosa si è ripetuta in coppa, qui Zlatan è sembrato tremante, pallido, timido, un parente dello sfacciato che provoca nel territorio casalingo. Controllando le statistiche la balla viene facilmente ridimensionata, chiedere informazioni a Capello al sito Juventus e Mancini&Mourinho a quello Inter, per non dire di Barcellona squadra per la quale Zlatan ha realizzato ventidue gol in quarantasei partite e non tutte da titolare inamovibile.
A ventinove anni lo svedese ricomincia quasi da zero. Il Milan mi sembra la piazza ideale per la sua nuova propaganda, trova un ambiente maturo, gioca con compagni esperti, avrà lo stimolo di sfidare ancora i tifosi dell’Inter che, memori degli sgarbi volgari, una volta emigrato in Catalogna, lo hanno definito un bluff inutile. Zlatan Ibrahimovic ha doti di trequartista, sa mettere il pallone a quaranta metri, attirare su di sé, come miele per le api, i difensori avversari e quindi liberare i propri sodali, sa difendere il pallone grazie ai tre anni di taekewondo, è perfido anche troppo, gigioneggia molestando l’avversario che lo insegue e cerca di abbatterlo come si fa con le mosche o le zanzare. A Torino qualche anima bella lo aveva ribattezzato Sfibrahimovic, dicevano e scrivevano che lavorava nulla e faceva faticare gli altri, ormai sfiniti, sfibrati. Con il suo naso che lo precede dalla nascita va dove serve, anche in difesa, quando segna un gol la scena è sempre buffa, i compagni gli saltano addosso, cercano di arrivare ad abbracciarlo, lui è uno struzzo alto mezzo metro sopra tutti, sembra il ripetente a scuola, quello in fondo alla classe, l’unico che porta i pantaloni lunghi in mezzo alla marmaglia con le cosce arrossate. Ha sangue bosniaco e croato, è furbo come la terra sua di origine, l’ex Jugoslavia, laddove basta che salti una pallina, una palla, un pallone per assistere ai numeri da circo, può essere la pallanuoto, il tennis, il basket, il calcio, gli slavi sono presenti, artisti narcisi. Zlatan Ibrahinmovic tiene moglie e figli, anche se a Barcellona e nel resto dell’orbe calcistico, avevano messo in circuito la voce, corredata da fotografia, che fosse in amore ambiguo con il collega Pique, l’istantanea era davvero goffa, Zlatan si è incacchiato, avrebbe voluto far uso delle arti marziali, poi si è divertito, la vicenda è evaporata senza bisogno di testimoni e smentite. Adesso ritorna a Milano per dimostrare che i soldi non sono tutto ma contano anche gli assegni, ha voglia di spiegare ai catalani e agli interisti e agli juventini che avevano visto giusto ma che il tempo scorre e il pallone corre, si deve andare dove porta il cuore ed eventualmente il portafoglio.
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