Torna l’ipotesi grande coalizione. Mentre il Prof trionfa all’estero

RomaIn una sola giornata c’è il Wall Street Journal che lo incorona (Monti è come la Thatcher, e rappresenta «un’opportunità rara per l’Italia») e il premier cinese Hu Jintao che promette: «Suggerirò alle istituzioni e alla business community cinese di investire in Italia»; Barack Obama che benedice «il ruolo molto importante» del nostro Paese ora che c’è lui e - si parva licet componere magnis - pure i tre moschettieri che sostengono il suo governo, col simpatico acronimo ABC.
L’unico neo di una giornata tutta all’incasso, per Mario Monti, è stata l’involontaria assenza dalla sala del vertice di Seul, quando si è perso gli elogi a lui e all’Italia del presidente Usa per rispondere ad una urgente telefonata di Fabrizio Cicchitto. Poco male, perché dall’Italia qualche notizia confortante è arrivata, dopo giorni di burrascosa incertezza. E - almeno sulla carta - Alfano, Bersani e Casini hanno saldato un’alleanza sul fronte delle riforme istituzionali ed elettorali, da fare «simultaneamente» e in tempi rapidi. I partiti della maggioranza, insomma, mostrano buona volontà di mettersi d’accordo e di produrre risultati sulla materia che il governo aveva totalmente delegato alla politica (le riforme appunto). E, soprattutto, mandano alla volta della Corea un messaggio rassicurante: la maggioranza c’è e il governo durerà, nessuno dei tre moschettieri ha intenzione di metterlo in discussione. Peraltro, la riforma elettorale che si prefigura (un proporzionale alla tedesca con qualche correzione spagnola, ma soprattutto con l’addio al vincolo di coalizione, perché sarà il singolo partito che ottiene più voti ad aggiudicarsi un premio di maggioranza e a decidere in Parlamento con chi allearsi) non esclude l’ipotesi che, nella prossima legislatura, si torni ad una «grande coalizione». Quanto al candidato premier, ogni partito ne designerà uno sulla scheda, ma al momento di formare la maggioranza di governo dovrà accordarsi con gli eventuali alleati. Nel retropensiero di molti (nel Pdl come nel Pd e nell’Udc) il nome di Monti potrebbe tornare dunque in ballo. Anche se la moglie giura: «Sono sicura che nel 2013 non si candiderà».
Il Professore, partito dall’Italia lasciandosi dietro un avvertimento minaccioso alla sua scombiccherata maggioranza («Se il Paese - leggi i partiti, ndr - non si sente pronto a quello che noi riteniamo un buon lavoro, non chiederemmo certo di continuare»), ieri ha potuto dimostrare agli alleati lasciati a casa quanto quella minaccia di andarsene lasciando a loro il compito di sbrogliarsela sia una vera spada di Damocle sulle teste di A, B e C. Senza di lui, insomma, l’Italia farebbe un salto nel buio.
Resta da vedere quanto e come i partiti saranno in grado di raccogliere il messaggio. Ieri Napolitano ha manifestato «vivo apprezzamento» per i risultati del vertice a tre sulle riforme. Ma non bastano certo le promesse messe sulla carta ieri a rassicurarlo che il clima sia cambiato definitivamente. Dal Quirinale infatti trapela qualche preoccupazione per le «fibrillazioni esasperate» che la lunga vigilia del voto amministrativo sta provocando tra le forze politiche, con relativi scontri (il Pdl, che necessita di un nemico per fare campagna elettorale e risalire nei sondaggi, è da due giorni all’attacco di Bersani sull’articolo 18, e lo accusa di volere il voto anticipato; il Pd a sua volta usa la questione per galvanizzare i suoi elettori). Fino al 6 maggio, insomma, ci sarà solo fumo e niente arrosto.

E dopo si aprirà in Parlamento la complicata partita della riforma del lavoro, su cui qualche tono eccessivamente rigido del governo ha preoccupato anche sul Colle. E poi ci sono i sondaggi: la popolarità del governo, con l’arrivo delle stangate fiscali e la battaglia sui licenziamenti, è in calo. E questo può alimentare le tentazioni di chi nella maggioranza ABC si sente stretto.

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