Torna Manson, l’ex «anticristo» del rock

POPOLARE Nonostante fosse scomparso dalle scene, continua ad avere moltissimi fan

Torna Manson, l’ex «anticristo» del rock

Comunque sia, Marilyn Manson fa sempre notizia. Qualche anno fa l’arrivo a Milano del rocker statunitense scatenò una megapolemica («è pericoloso», «è l’Anticristo», «è una vergogna») che lo costrinse ad annullare i concerti. Ora fa notizia perché è cambiato, perché le vicende della vira lo hanno cambiato. In realtà, dal punto di vista musicale quello che vedremo questa sera al Palasharp (ore 21) è il solito Marilyn Manson, quello che ha il rock duro e teatrale nelle vene e che sa come maneggiarlo. Forse è cambiata la sua visione della vita da quando ha dichiarato: «Ora per me la cosa più importante è lottare per la libertà d’espressione. Prima distruggevo la politica e la religione; ora scrivo ciò che mi rivolta e so che rivolta la gente». Lontani i tempi in cui, per il video I Don’t Like Drugs (But the Drugs Like Me), ovvero «non mi piacciono le droghe ma io piaccio a loro», si fece riprendere su una croce fatta di televisioni, mentre un gruppo di bambini recita litanie tipo: «C’è un buco nella nostra anima e lo riempiamo con la droga». Lontanissimo anche il suo ruolo di «Anticristo» (l’album che lo trasforma in una star è proprio Antichrist Superstar del 1996) e mangiapreti. Il suono rimane tosto, a cavallo tra rock’n’roll, hard rock ed heavy, sapientemente riveduto e corretto, e i suoi travestimenti e le sue provocazioni passano in secondo piano. I fan lo adorano, poi c’è chi lo definisce un simbolo del male e chi un innocuo e grottesco rocker votato al grand guignol (figlio di Alice Cooper); ancora c’è chi ne segue fedelmente la filosofia trasgressiva e chi lo considera un rockettaro di seconda fila. Comunque Manson piace perché è ambiguo e sa fondere come pochi la satira del vecchio vaudeville e l’horror, spesso dimenticando quanto il confine tra orrore e farsa possa essere impalpabile. Tra gli album che hanno fatto «rumore» il successivo Mechanical Animals, in cui lascia provvisoriamente nel cassetto il gotico per rendere omaggio ai suoi idoli glam Alice Cooper, David Bowie, T Rex. Insomma fa scena; piace ma è innocuo, seguendo l’etica che Hanna Arendt definiva «la normalità dell’orrore». E anche nel nuovo secolo Manson ha continuato a giocare con i travestimenti, i proclami ed il rock; Holy Wood del 2000 è uno dei suoi album più amati dai fan, mentre The Golden Age of Grotesque esalta la sua vena cabarettistica ispirandosi alla Berlino anni Trenta e al marchese De Sade.
La vera svolta però avviene un paio d’anni fa quando, dopo un lungo periodo di depressione, problemi famigliari e crisi varie, Manson riappare - dopo una lunga assenza e una raccolta di successi - e pubblica le ballate dark e intimiste di Eat Me Drink Me. Eppure il suo pubblico continua a credere in lui, Pierrot stralunato e decadente che comunque non rinuncia alle lusinghe del rock. «È ironico, intelligente, colto. Non vuole spaccare tutto ma solo comunicare verità scomode», lo difendono i fan.

E Manson li ripaga con The High End of Low, album uscito sei mesi fa, dove ricompare il suo storico collaboratore Twiggy Ramirez, che non lavorava con Manson da un decennio e stasera sarà anche lui sul palco al fianco dei compari Chris Vrenna e Ginger Fish. «La mia vita è definitivamente finita e ricominciata - provoca Manson presentando disco e tour - è come un’araba fenice che risorge dalle ceneri».

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