Controcultura

Torna la paura dell'Armageddon. L'avevamo rimossa e questo ha reso il rischio più grande

Decine di crisi e liti avevano insegnato al Mondo un equilibrio spaventoso ma calcolato. Ora ci si muove su un terreno più scivoloso

Torna la paura dell'Armageddon. L'avevamo rimossa e questo ha reso il rischio più grande

«Da più di un anno, nelle altissime sfere del mondo occidentale, circolavano voci sinistre secondo le quali l'Unione Sovietica preparava quella che veniva considerata l'arma nucleare senza scampo, l'ordigno Fine del mondo. I servizi informazioni avevano localizzato le basi di questo segretissimo piano nelle desolate lande perennemente avvolte dalla nebbia ai piedi delle cime artiche delle isole Zhokhov. Che cosa si stesse preparando in quella zona tanto lontana e inospitale, nessuno avrebbe potuto specificare».

Iniziava con questa voce narrante Il dottor Stranamore - Ovvero: come ho imparato a non preoccuparmi e ad amare la bomba, film di Stanley Kubrick che arrivò nei cinema nel 1964. La pellicola, a soli due anni di distanza dalla crisi dei missili di Cuba incarnava con macabra ironia tutta la paura che attanagliava l'Occidente per un Armageddon nucleare. Quella minaccia, dopo il crollo dell'Urss, per tantissimo tempo è sembrata essere finita, se non nel dimenticatoio, sullo sfondo della geopolitica. Ora è cambiato tutto, la crisi ucraina ha messo davanti agli occhi di tutti rischi sotterranei, che non erano mai davvero spariti, e ora di colpo sono riemersi come fiumi carsici. Mettendo in difficoltà la sua stessa amministrazione il presidente Joe Biden ha evocato proprio il termine che viene dritto dritto dall'Apocalisse di Giovanni: «Poi il sesto angelo versò la sua coppa sul gran fiume Eufrate, e le sue acque si prosciugarono perché fosse preparata la via ai re che vengono dall'Oriente. E vidi uscire dalla bocca del dragone, da quella della bestia e da quella del falso profeta tre spiriti immondi, simili a rane... Essi vanno dai re di tutta la terra per radunarli per la battaglia del gran giorno del Dio onnipotente... E radunarono i re nel luogo che in ebraico si chiama Armageddon».

Così, inevitabilmente, ci si guarda indietro e si va a mettere le mani nella sterminata saggistica che un tempo veniva distillata nelle nostre librerie direttamente dalla paura e poi... E poi è finita a prendere polvere sulle bancarelle illuminate dal sole dei trattati di non proliferazione. Ecco ad esempio mettendo le mani su La via di Armageddon. Documenti dell'Età nucleare, allegato a Rinascita nel 1985, si percorrono 308 pagine da brivido. Si ha quasi l'impressione di avere in mano un sussidiario a cui mancano le ultime pagine. Quelle che portano al presente.

Le crisi che si sono susseguite lungo il Novecento, per certi versi, sembrano quasi pallide prove generali rispetto a quella attuale. Facciamo un elenco stringato di episodi critici.

Nel novembre del 1956, durante la crisi del canale di Suez, gli Usa rilevarono manovre militari sospette. Vennero ritenute il prodromo di un'offensiva russa. Mentre si valutava una risposta atomica si scoprì che tutti i dati raccolti erano frutto di coincidenze o errori di interpretazione. Il tutto portò alla prima seria riflessione sul come creare un'affidabile sistema di monitoraggio: per non compiere errori fatali. Errori che andavano evitati dagli uomini e non solo a colpi di tecnologia. Il 5 ottobre 1960 i radar della Nato in Groenlandia scambiarono l'alba lunare nei cieli della Norvegia per gli effetti di un potenziale attacco nucleare sovietico. I militari statunitensi entrano in stato d'allerta. Per fortuna la presenza di Nikita Krusciov a New York per un'assemblea dell'Onu fece capire che non poteva essere un'offensiva e che le valutazioni erano nuovamente errate.

Poi arrivò la crisi dei missili del 1962 e lì la minaccia non era un errore. È stato il momento in cui il mondo è andato più vicino a un conflitto termo-nucleare. Nel 1962 i sovietici installarono a Cuba una batteria di missili nucleari: la Florida diventava indifendibile. A ottobre Kennedy schierò la flotta per bloccare l'isola ma alla fine le due super potenze trovano un accordo e Krusciov ritirò le testate. Da un certo punto di vista, questo successo delle diplomazie creò un nuovo equilibrio della minaccia reciproca. Quell'equilibrio ora rimesso alla prova. Rimase però sempre il rischio di incidente. Era il 9 novembre 1979 quando i computer del Norad rilevarono un imminente attacco nucleare sovietico. Sembrarono rilevare 2mila testate in volo contro l'America. Il presidente Carter avrebbe avuto pochi minuti per decidere di ordinare una risposta atomica equivalente. Dopo 6 minuti il Norad comunicò il falso allarme. Si ripensò a tutto il sistema.

Il 26 settembre 1983 toccò ai russi. Un satellite spia sovietico segnalò il lancio di un missile intercontinentale nucleare diretto verso l'Urss. Fortunatamente il tenente colonnello Stanislav Petrov, del sistema di difesa aereo sovietico, si convinse che un attacco degli Usa con un solo vettore non fosse un'ipotesi plausibile e riuscì, a fatica, a bloccare i superiori che stavano procedendo ad attivare la rappresaglia. Aveva ragione si trattava di un falso allarme, il fatto è stato secretato per anni e solo dopo la frammentazione dell'Urss Petrov ha visto riconosciuto il valore mondiale del suo gesto.

Ora tutto questo sembra essere molto meno Storia e molto più un tragico e ravvicinato prodromo ad un nuovo presente. Un presente in cui tolta la crisi attuale, il gioco delle minacce è diventato multiplo. Per rendersene conto basta leggere un volume come La minaccia nucleare (Nutrimenti, 2018) di Jack Caravelli e Jordan Foresi. O se si vuole passare ai saggi in lingua inglese The Doomsday Machine: Confessions of a Nuclear War Planner di Daniel Ellsberg. E sin qui si sta parlando della minaccia di un macroconflitto con l'impiego massiccio di testate o di una guerra regionale a colpi di testate, come potrebbe accadere ad esempio tra India e Pakistan. Ma ora il conflitto ucraino potrebbe sdoganare le testate tattiche. Figlie dell'idea del vecchio cannone atomico anni Cinquanta, o delle bombe/razzo come la Davy Crockett, danno l'illusione di essere mini. Ad esempio la Davy Crockett era un'arma nucleare tattica portatile, composta da un cannone senza rinculo in grado di sparare un proiettile con una testata nucleare M388. Ma una volta sdoganata un'arma atomica, anche piccola, cosa impedisce che si inneschi la sciarada che porta ai lanci multipli?

Non lo sappiamo e qui si arriva alle pagine più incredibili di La via di Armageddon del 1985. Quelle che riportavano i danni e le vittime se il bersaglio di un attacco fossero state città italiane. Oggi si può calcolarlo ancora meglio, ci sono siti apposta. Come https://nuclearsecrecy.com/nukemap/ che vi fa accedere ad una mappa del mondo su cui proiettare l'effetto di ogni tipo di bomba su qualunque città. Era diventato una sorta di gioco di società per nerd. Ora la simulazione è un'altra cosa. Si deve, però, anche onestamente guardare il rovescio della medaglia di Armageddon. Ha garantito decenni di pace. E forse ha anche contribuito a mantenere la crisi Ucraina dentro binari orribili, ma binari. Però, mai come ora, è tornata la paura che questo sistema complesso di regole di deterrenza, di bilanciamenti di morte sia stato dimenticato per un po', trascurato nella logica e nel calcolo.

E i sistemi complessi se trascurati poi si inceppano.

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