«A lcuni infatti credevano che, siccome Giuda teneva la cassetta, Gesù gli dicesse Compra le cose di cui abbiamo bisogno per la festa, ovvero, che desse qualcosa ai poveri. Preso pertanto il boccone, colui uscì subito. Era notte. E il traditore, uscito fuori, s'immerse nella sua doppia notte». Un passaggio da grande romanziere, direbbe (e dice) il musicologo Paolo Isotta. La citazione è tratta dalla Vita di Gesù Cristo (1941, si trova negli Oscar Mondadori) di Giuseppe Ricciotti, cappellano militare, medaglia d'oro al valore nella Prima guerra mondiale. L'esperienza bellica fece maturare nel Ricciotti, oltre al disgusto per i conflitti, il desiderio di scrivere una biografia di Gesù. Il desiderio si trasformò in obbligo di fronte ai massacri della Seconda guerra mondiale. Lo racconta egli stesso nella prefazione: «Quest'immagine divenne allora così imperiosa su di me che fui costretto a obbedire: essendo tornato il sangue sul mondo, bisognava pure che tornasse il Vangelo». Ricciotti sente il dovere di aggiungere una precisazione: «Se faccio queste confidenze al lettore non è per parlare della mia insignificante persona: è invece per avvertire in quale stato d'animo è stato scritto questo libro. La quale avvertenza è, a parer mio, importantissima per giudicare ogni biografia di Gesù». Lo stato d'animo di Ricciotti era questo: «Uscire dal presente e raccogliermi nel passato, uscire dal sangue e raccogliermi nel Vangelo».
Non sente il bisogno, invece, di scusarsi per l'attenzione riservata alla propria persona l'Emmanuel Carrère de Il Regno (Adelphi, in uscita il 12 marzo). Il bestsellerista francese ripercorre la vita di san Paolo e dell'evangelista Luca per illuminare l'esordio di una piccola setta, il Cristianesimo, destinata a conquistare il mondo. Carrère rilegge gli Atti degli Apostoli e il Vangelo come fossero un'opera letteraria, giungendo alla conclusione che sia Paolo, più di Gesù, il vero fondatore del Cristianesimo. È il convertito Paolo a cogliere lo scandalo delle parole, della morte in croce, della resurrezione di quel predicatore nella realtà non così diverso da tanti altri. È Paolo a rompere senza indugi con la tradizione giudaica e a dichiarare inutile l'ossequio alla Legge, lottando contro le resistenze degli Apostoli. È Paolo a portare il messaggio di Cristo tra i pagani e a fondare le prime comunità. Carrère è abile nel muoversi tra fonti storiche (Renan, soprattutto), rimandi letterari inattesi (il Philip K. Dick della Trilogia di Valis ), parallelismi gustosi ma improbabili (con le vicende del comunismo sovietico nel passaggio tra Lenin e Stalin). Si ha comunque l'impressione che agli occhi di Carrère contino soprattutto le decine di pagine autobiografiche in cui egli racconta il proprio viaggio di andata e ritorno dalla fede, trovata al termine di un periodo di profonda angoscia e perduta dopo tre anni di ortodossia. Il percorso a ritroso nel Regno è dunque il tentativo di comprendere come Carrère stesso abbia potuto credere e smettere di credere nella resurrezione. In fondo, sembra il finale messaggio, ciò che conta è una sostanziale fedeltà a se stesso nel riconoscersi nei valori del Cristianesimo.
Naturalmente su Gesù storici e narratori hanno sempre versato fiumi di inchiostro. Ma Il Regno arriva comunque al culmine di una stagione in cui il «teo-romanzo» ha occupato saldamente gli scaffali delle novità.
Due sono i volumi dedicati al traditore Giuda: Fa' che questa strada non finisca mai (Bompiani) di Luca Doninelli e Giuda (Feltrinelli) di Amos Oz. Nel libro di Doninelli, è Giuda stesso a parlare e a ricostruire il legame con Gesù. Due amici con visioni drasticamente diverse del mondo. Giuda è l'uomo della legge e dell'economia. Gesù è invece l'uomo della rivoluzione e del mistero. Giuda si illude di salvare Gesù dal linciaggio grazie a un processo con modeste conseguenze. Per questo lo tradisce, risultando a sua volta tradito dalla meschinità del potere. Il critico Claudio Magris ha messo in luce la prosa sobria e potente (nello stile dei Vangeli, aggiungiamo) di Doninelli, autore di 140 pagine densissime.
Il romanzo di Oz va in un'altra direzione. Lo scrittore israeliano narra la storia di uno studente che, a causa di una delusione amorosa, si prende una pausa e accetta uno strano lavoro. Dovrà fare compagnia, dal tardo pomeriggio fino alle prime ore della notte, a un vecchio signore. Imprevedibilmente, il ragazzo si trova a ripercorrere gli snodi delle vicende recenti e remote di Israele, anche perché ha interrotto una tesi di laurea sulla storiografia ebraica relativa a Giuda. Il tema del tradimento è affrontato in tutte le declinazioni: storiche, personali, culturali. E se Giuda, forse, è stato il primo e ultimo cristiano, l'unico davvero convinto che Gesù sarebbe risorto, il tradimento si può rivelare una forma estrema ma necessaria di cambiamento. Insomma, talvolta l'innovatore è accusato di essere un traditore.
Due sono anche i libri dedicati a Benedetto XVI e al gesto col quale, l'11 febbraio 2013, ha rinunciato al ministero di vescovo di Roma, successore di san Pietro: Rinuncio (Guaraldi) di Davide Brullo e Renuntio Vobis (Bompiani) di Sergio Claudio Perroni. Entrambi gli autori scelgono la strada del virtuosismo, e di una scabra liricità, per raccontare i dubbi, le angosce e le tentazioni del pontefice emerito. Brullo costruisce Rinuncio come una raccolta di note di lettura, lettere e documenti prevalentemente di pugno di Joseph Ratzinger. La necessità di umiliarsi per avvicinarsi a Dio, l'avvento di Gesù come rottura dell'ordine e dell'ordinario, l'annientamento di sé come premessa della rinascita spirituale. Questa è la lezione del «vero Papa», capace forse di causare, involontariamente, un piccolo scisma dopo la sua morte. Perroni mette in scena un dialogo serrato fra il Vecchio, Papa della rinuncia, e il suo misterioso Ospite. Siamo tra le mura di un monastero benedettino. L'Ospite interroga il Vecchio sui motivi della sua scelta, forse dettata dalla paura (o sarà presunzione?) di chi non vuole servire il disegno divino. Il dialogo, che diventa scontro dialettico, è interamente costruito con versetti del Vecchio e del Nuovo Testamento, e ha un esito sconvolgente.
I libri qui illustrati sono diversi tra loro. Colpisce che siano usciti in un arco di tempo molto ristretto.
Guardando la cronaca, viene la paura che le parole di Ricciotti, con la penna in pugno di fronte allo sfacelo della Guerra mondiale, siano orribilmente attuali: «Essendo tornato il sangue sul mondo, bisognava pure che tornasse il Vangelo».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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