Torna il tempio del lusso il nuovo Savini ha 5 facce

In Galleria anche bar, dolci e boutique sotto la guida dello chef Magri. Il problema dei barboni

Ancora due giorni e la crema meneghina formata da bei nomi della finanza e della politica, della cultura e dello spettacolo, ma anche i vecchi e più fedeli clienti, potrà “gustare” il nuovo Savini. Riapre infatti il ristorante simbolo di una Milano che non c’è più (e non da ieri), un localissimo con un formidabile passato remoto, un mediocre passato prossimo e un futuro che la nuova proprietà, Giuseppe e Sebastian Gatto, padre siciliano e figlio milanese, e il nuovo chef, Cristian Magri, inizieranno per davvero a scrivere da lunedì quando verrà concretamente aperto al pubblico.
Tutto quello che contribuisce a formare la leggenda del Savini, in Galleria Vittorio Emanuele, affonda le radici nel 1884 quando il varesotto Virgilio Savini trasformò la birreria Stocker in un esercizio che era un po’ caffè e un po’ ristorante. Ma nel logo appare una data diversa, 1867, che è quella del pub. Sia come sia, la storia aiuta a scrivere gli articoli, ma certo non dà sapore ai piatti. Il Savini ha visto passare il meglio, anche perché del peggio nessuno prende nota: Verdi e Toscanini, D’Annunzio e Marinetti, la Callas e Chaplin, Totò e Grace Kelly, epoche nelle quali se qualcuno tentava di spacciare una Gregoracci per vip veniva zittito.
Sarebbe anche risorto due volte dalle sue stesse ceneri, dopo il bombardamento dell’agosto 1943 e dopo l’incendio del ’71. Non così quando a inizio estate 2004 i Nas trovarono cibi scaduti nei frigoriferi. Ma da tempo non era più il Savini, basti dire che nella cartella distribuita ieri, e negli articoli già usciti, è pressoché impossibile trovare un vip in vita così come autentici appassionati dell’alta cucina ai tavoli prima della chiusura.
Chi voleva mangiare bene aveva ben altri nomi in agenda ed è curioso notare come Cristian Magri, anni 32, sia cresciuto in due colossi come Cracco e Aimo. Ed è lì che dovrà portare la Ferrari che gli hanno messo in mano, una fuoriserie che, da solo ristorante che era, ora ha cinque volti: caffetteria, pasticceria e ristorante più semplice al piano terra, negozio di squisitezze e oggettistica in cantina, ristorante top al primo piano. Per fortuna i Gatto, che nel portafoglio hanno (avevano ormai) solo bar, sono entrati con le ruspe. Certo che al momento di trarre ispirazione potevano anche scegliere un locale di Parigi, il Maxim’s, che non facesse concorrenza al museo delle cere.
E ora a tavola: sotto tutto il buono di Milano (ossobuco, cassoeula, busecca...) e non solo Milano, con prezzi da Galleria: antipasti e primi tra i 15 e i 20 euro, i secondi tra i 25 e i 30. Non mancheranno però pizze e panini, sette giorni su sette. Sopra il lusso che Cristian dovrà condire di bontà. Due menù degustazione, un classico Savini 2008 a 95 e un creativo Savini Magri a 125, più la carta, una cantina forte di circa 500 etichette e un affitto annuo che si dice sia di 600mila euro.

Tutto dovrà girare bene e in fretta, anche dettagli a cui nessuno pensava che Giuseppe Gatto ha portato in primo piano: «Abbiamo deciso di ripristinare per il ristorante gourmet il vecchio ingresso da via Ugo Foscolo, con un servizio di parcheggio e ogni cura possibile. Però non abbiamo avuto i permessi per migliorare un angolo che oggi si presenta male, ci dormono i barboni che quando devono orinare orinano. Non è bello». No. La parola al Comune.

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