«Torno a Genova con i Pagliacci» Zeffirelli sul set del Carlo Felice

«Torno a Genova con i Pagliacci» Zeffirelli sul set del Carlo Felice

L’atmosfera è quella delle grandi occasioni. Telecamere, corbeille di fiori freschi, foyer gremito ed osannante: più che a teatro, sembra di essere sul set di un film. Franco Zeffirelli, ieri mattina al Carlo Felice per la presentazione di «Pagliacci» - di cui firma la regia e che andrà in scena da martedì prossimo a domenica 17 aprile - tiene la parola per quasi un’ora, e tutti pendono dalle sue labbra; il «palcoscenico» è suo, la sindaco Marta Vincenzi e il sovrintendente Giovanni Pacor fungono da semplici comparse. «Vi annoio?» dice ad un certo punto alla platea, che un Carlo - così - Felice non lo vedeva da tanto tempo, al centro dei riflettori «gloriosi» e non solo nell’occhio del ciclone che gli si è abbattuto addosso in questi ultimi anni.
«Sono commosso di tornare in questa città - confessa il grande regista, che manca da Genova da quarantanove anni, quando nel 1962 si congedò dal nostro teatro con “La figlia del reggimento” di Donizetti -. Genova è stata per me una grande scuola, qui ho imparato tutto quello che è stato poi il mio bagaglio professionale, per tutta la vita. Ricordo benissimo il vecchio Carlo Felice, con le ferite fresche dei bombardamenti, ma con tanta voglia di farcela: c’erano cast eccezionali, perché tutti volevano cantare su quel glorioso palcoscenico». Ricordi, ormai. Le «macerie» dei nostri giorni sembrano essere molto più dannose, tra cause pendenti, fondi tagliati e chi più ne ha ne metta. «Per la cultura è un momento molto doloroso; non si vuole capire che è la prima cosa da tutelare, in un paese civile, e tutti dovrebbero essere d’accordo. E invece vediamo cani inferociti che si affrontano e il Parlamento è diventato una palestra di imbecilli». O di pagliacci, verrebbe da dire.
Il regista va avanti accalorato. «I teatri dovrebbero essere in mano ai privati, che per questo dovrebbero essere detassati; ma per carità, lasciate giù dal palcoscenico politici e burocrati, perché quella sì che è la rovina, altro che guerra». C’è il tempo anche per un commento su quello che sta accadendo in Nord Africa: «Il mondo musulmano è in gioco, milioni di persone che credono in certi valori devono buttarli via e non lo faranno. Vedi quello che è successo in Iran, loro piuttosto che cambiare buttano la bomba atomica».
Ma veniamo a questi «Pagliacci», che tanto per non annoiarci qualche altra polemica già l’hanno sollevata, visto che sarà l’unica première della storia a mandare a letto il pubblico entro le dieci e mezza di sera. A meno che non si intrattenga il pubblico con qualche intermezzo o qualche altra trovata durante l’intervallo. Il che, ad esser sinceri, non ci auguriamo affatto.
Con un prologo e due atti (che meglio sarebbe definire «quadri») l’opera è di fatto un atto unico, con durata di poco più di un’ora; ma si sa, in tempi di vacche magre conviene leccarsi le dita e aspettare tempi migliori, del resto l’allestimento reca l’impronta indiscussa di un artista. «Pagliacci» di Zeffirelli ha sempre riscosso grande entusiasmo: «A me affascina l’idea di raccontare una favola che faccia sognare il pubblico - continua emozionato Zeffirelli dopo lo sfogo - io amo il mio pubblico e soprattutto ho a cuore che i giovani imparino ad apprezzare il teatro, perché è un mondo affascinante e meraviglioso e la lirica ha questo in più, la possibilità di avere il contatto diretto con il pubblico. Lo ripeto: l’amore per il teatro va conservato, a tutti i costi». «Pagliacci» è opera pienamente verista, storia truce di gelosia e vendetta, tratta da un fatto di cronaca e ambientata in Calabria sotto l’impietosa canicola di Ferragosto.

Zeffirelli ne dà una lettura molto forte, che trasforma il paesaggio di Leoncavallo in un brulicare di malviventi, prostitute e marinai. Sul podio, il genovese Fabio Luisi (affiancato, nelle recite del 12 e del 17 aprile, dal giovane Gaetano d’Espinosa).

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