Cultura e Spettacoli

«Torvaldo» e «Stabat» Al Rossini festival ovazioni da rockstar

Unico neo i fischi a «L’italiana in Algeri» di Dario Fo

Lorenzo Arruga

da Pesaro

Che cos’è un’ovazione interminabile? Una frase tradizionale che si usa per dire gran successo. A volte le parole hanno più peso delle ragioni cui si riferiscono, e pazienza. Ma quella che martedì sera ha accolto l’ultima recita di Torvaldo e Dorliska, a chiusura del Rossini Opera Festival di Pesaro era proprio un’ovazione ed era proprio interminabile. Applausi, violenti, compatti, e la compagnia che non riusciva ad andarsene, battimani scanditi a ritmo, poi a ritmo veloce, un finimondo. Da quando ve l’abbiamo raccontato, alla prima, la qualità è cresciuta replica su replica: se il teatro italiano fosse serio, e questo spettacolo venisse fatto girare per l’Italia, il momento in cui Bruno Praticò gira a confidarsi cantando, impagabilmente, con i singoli spettatori, o si dipana l’incessante vertigine della disperazione di Michele Pertusi sconfitto, per dir solo di due momenti da aspettare e pregustare, diverrebbero dei classici.
Intanto è ormai un classico del Festival lo Stabat Mater diretto da Alberto Zedda, quest’anno con una pienezza ed un’intensità sbalorditiva. Preghiera o no?, si chiede goffamente a volte la musicologia, perché Rossini non ha la fama del pio perché la sua ironia confidenziale e la sua voglia orgogliosa di far musica come se Dio fosse lui sono incancellabili. Ma metter tutto questo insieme, contemplare il dolore, e per di più il dolore di Maria, con tanta potenza, non temere che tutto il profano di noi irrequieti, gaudenti, infastiditi peccatori possa venire consacrato in un’offerta di bellezza... così si parla solo con Dio.
Era palpabile con Zedda, attento anche alla linea generale, ma intesa come drammaturgia di fatti e immagini e pensieri, ed esperto da una vita delle risonanze di ogni colore e timbro strumentale nell’arte di Rossini. Ed in prima persona hanno cantato, rivelandoci la voce dell’autore, la drammatica e purificante Darina Takova, il tenore squillante Dmitry Korchak, il Coro da camera di Praga, intonato e duttile ed anche forse il più umano dei cori, con l’orchestra del Comunale di Bologna giunta ad una maturità godibile. Ma che cosa sarà accaduto a Michele Pertusi per fargli conquistare, nella voce melodiosa ed insinuante, tanta perentoria essenzialità? E come avrà scoperto Anna Bonitatibus, con sostanziosa qualità vocale, il segreto di unire l’ardimento della tecnica a una toccante umiltà?
Così il Rossini Opera Festival 2006 si è chiuso felicemente. Ed era troppo felice, l’altra sera, Franco Mariotti, suo sovrintendente, per rispondere alle stuzzicanti provocazioni che provavo a lanciargli. Ma è vero che siete in ambasce per la mancata trasferta in Siria del prossimo anno, fonte di denaro e prestigio? «Be’ - sorrideva -, ci saremmo andati volentieri, anche se in quei Paesi in questi anni si spara tanto. Ma non era un’operazione finanziaria, era un’avventura artistica». Come mai, continuavo, ci son stati anche dei fischi alla ripresa dell’Italiana in Algeri con la regia di Dario Fo? «Lei ha presente la fantasia visionaria e la forza polemica del personaggio? Le sembra che possa non ricevere qualche buuu. Ma il nostro compito non è dare ad un gruppo di abbonati la produzione media che li acquieti, è presentare in un festival le proposte forti in cui crediamo». Ritentavo: e cosa dice del fatto che una parte della stampa italiana importante, al contrario di quella estera, sia così poco presente al vostro Festival, o attenta soprattutto a immaginare il retrobottega?
Mariotti, a capo del Ros per 27 edizioni su 27, mi spingeva verso un caffè. «Da quanto fa il giornalista?». Trentott’anni, ho risposto. «Be’, forse le ragioni può immaginarle lei meglio di me. Io ho la testa occupata da tutt’altri pensieri. A chi affidare la nuova produzione di Otello? Perché l’Otello di Rossini è talmente importante. Lo daremo il prossimo anno insieme alla ripresa del Turco in Italia con quella felicissima regia di Guido De Monticelli. E poi, senta questa che è una primizia, ripresenteremo La gazza ladra questa volta con lo spettacolo affidato a Micheletto, da cui ci aspettiamo moltissimo». Stavamo appena fuori dal teatro.

La gente era lì ancora ferma a crocchi, dopo lo spettacolo, tutta contenta.

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