Totalitarismo, un catalogo delle «varianti»

Torna dopo 30 anni la preziosa analisi storico-comparativa di Juan Linz, il maggior studioso vivente di quel regime politico

L’anno scorso ricorrevano i trent'anni della morte di Hannah Arendt, mentre quest'anno è il centenario dei suoi natali: quale occasione migliore per parlare di totalitarismo, termine reso popolare dal suo Origins of Totalitarism? Con questa parola si indica la forma di governo che sta agli antipodi della democrazia liberale su di un immaginario continuum valutativo dei regimi politici, per cui se la democrazia, nella coscienza dei moderni, è la miglior forma di governo, il totalitarismo è decisamente la peggiore.
Com’è noto, il concetto fu coniato dagli antifascisti già negli anni Venti e poi fatto proprio da Mussolini per la voce «Fascismo» da inserire nell'Enciclopedia Treccani, nell'ottica che niente e nessuno dovesse contrapporsi allo Stato corporativo, il quale assumeva in sé e sintetizzava la totalità della nazione italiana. In realtà, l'attestazione mussoliniana restò sempre un obiettivo auspicato ma mai raggiunto, mentre compiutamente totalitarie furono soltanto la Russia sotto Stalin e la Germania hitleriana. Ma nel novero delle forme di governo non democratiche il totalitarismo non è certo solitario: nell'ipotetico continuum di cui si parlava poc'anzi, la posizione ad esso più prossima è occupata dai regimi autoritari. Quali caratteristiche attribuire loro, senza considerarli delle manifestazioni residuali, né democratiche né totalitarie, oppure dei semplici totalitarismi imperfetti?
Per rispondere a questo quesito esce ora anche in italiano, grazie al prezioso e tenace lavoro di Alessandro Campi, che ne ha curato l’introduzione, Sistemi totalitari e regimi autoritari. Un’analisi storico-comparativa (Rubettino, pagg. LII più 484, 25 euro), un ponderoso saggio, scritto nell'ormai lontano 1975, di quello che non sarebbe eccessivo considerare il maggior studioso vivente del fenomeno autoritario, Juan Linz. Nato a Bonn nel 1926 da madre spagnola e padre tedesco, sociologo e politologo molto legato alla cultura tedesca, Linz ha arato in lungo e in largo l'intero Novecento con le sue molteplici problematiche politiche, dalla democrazia incompiuta alle aberrazioni fasciste. Ma, come si diceva, è soprattutto un grande specialista dell'autoritarismo; definito il totalitarismo come un sistema caratterizzato da una forte presa ideologica, dalla presenza di un partito unico di massa e dalla concentrazione del potere nella mani di un leader e di un piccolo gruppo di suoi adepti, Linz utilizza e rielabora questi stessi elementi per definire in chiave scientifica e positiva l'idealtipo del regime autoritario. In primo luogo si avrà una mentalità autoritaria in luogo dell'ideologia totalitaria, riscontrabile nello scarso livello di mobilitazione e nel programma di spolicitizzazione delle masse (differenza questa di radicale importanza rispetto al totalitarismo); infine nei regimi autoritari è consentito un limitato livello di pluralismo ed è presente una certa eterogeneità all'interno della classe dirigente.

Linz passa poi al catalogo delle varianti dell'autoritarismo, che vanno dalla sottospecie burocratico-militare (di cui sono esempi l'Ungheria dell'ammiraglio Horty e la Spagna di Primo de Rivera) allo statalismo organico (si pensi al Portogallo di Salazar), dalle forme con propensione alla mobilitazione, proprie dei Paesi ex coloniali e delle società post-democratiche (in cui colloca il fascismo mussoliniano), alle democrazie razziali ed infine alla fattispecie post-totalitaria, alla quale Linz, con il trascorrere del tempo, ha dato dignità teorica a sé stante. Riflessioni teoriche di un «conservatore antirivoluzionario», conscio che la democrazia agonale, una volta conseguita, non è una conquista definitiva ma un bene labile, vulnerabile e perituro.

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