Il disastro finanziario in corso non è più solo un tema legato alla Grecia. Da ieri è ormai un conclamato problema europeo. E non solo perché il contagio dei mercati ha già attaccato il Portogallo, secondo anello debole della catena economica continentale in tutte le graduatorie di economisti e operatori di Borsa. Ma soprattutto perché, piaccia o no, una grande responsabilità di quanto sta accadendo è in capo alla Germania: il Paese che, frenando sugli aiuti da prestare ad Atene, ha scatenato la speculazione sui mercati.
I dubbi tedeschi sono senz’altro leciti, ma di certo è l’intera architettura europea, sia politica, sia finanziaria, che vacilla e mostra tutta la sua fragilità. E questa volta non è per un qualche referendum locale, che non ha mai turbato più di tanto il tran-tran dei cittadini dei 27 Paesi dell’Unione. Questa volta rischia di saltare per aria la moneta unica. L’euro. In fin dei conti l’unica Europa con cui realmente abbiamo a che fare tutti e tutti i giorni. Un’esagerazione? Non proprio. Almeno a sentire qualche economista, ieri, nelle grandi banche milanesi: «Siamo preoccupati. Non esiste il fallimento della Grecia senza il fallimento dell’euro», ripetono in tanti.
Partiamo dai fatti e diamo qualche numero: ieri l’agenzia Standard & Poor’s ha tagliato il rating del debito greco a «junk bond», cioè spazzatura. E ha ridotto quello portoghese di due livelli, appena sopra al «junk». I mercati hanno reagito crollando: Milano -3,3%; Madrid, altro anello debole, -4,2%; Francoforte -2,7%; Atene sotto terra del 6%, Lisbona poco meglio a -5,3%; e così via, per il solito conto finale da capogiro: 160 miliardi in fumo nel vecchio continente. Insomma un bollettino di guerra stile 2008, primo anno della crisi finanziaria che credevamo alle spalle.
Spieghiamo meglio: se un titolo pubblico diventa tecnicamente «junk», spazzatura, significa che il debito di quel Paese non può più essere accettato come collaterale dalla Bce. In altri termini, nessuno può più dare bond greci alla Banca Centrale Europea a garanzia di erogazione di liquidità. Un meccanismo che scatena reazioni a catena analoghe a quelle che, nel 2007-2008, hanno paralizzato le banche di tutto il mondo: diventa difficile finanziarsi, onorare gli impegni, erogare credito. Con il piccolo particolare che a rischiare il fallimento non è una banca, grande a piacere. Ma uno Stato. Che pur piccolo a piacere (e la Grecia comunque non è tanto piccola: con 340 miliardi di dollari è il 32° Pil del mondo), rappresenta una rotella dell’ingranaggio euro.
Infine, per un quadro completo, ci vogliono anche un paio di date. La prima è quella del 9 maggio, elezioni regionali tedesche nel Land Reno-Westfalia, dove balla il seggio chiave per la maggioranza governativa in Senato. Una bega elettorale che ha spinto il premier Angela Merkel a frenare sugli aiuti alla Grecia per timore di perdere le elezioni: l’opposizione soffia sul fuoco del malumore per l’erogazione di un prestito da 8 miliardi (è la quota tedesca del complessivo impegno europeo da 45 miliardi) che assorbe risorse più utilmente utilizzabili in Germania. La seconda è il 19 maggio, dieci giorni dopo: scadono quel giorno 9 miliardi di bond sovrani greci, che vanno rimborsati. Per farlo il governo di George Papandreou deve emettere nuovi titoli. Ma l’operazione al momento è impossibile: il mercato chiede rendimenti superiori al 15% per i bond biennali. Un costo che Atene non può sopportare. Una situazione così, per uno speculatore che scommette sulle debolezze di un valore, sia esso un’azione, un bond o una squadra di calcio, è un’occasione da non credere. E ieri, infatti, nessuno se l’è lasciata sfuggire.
L’impressione è quella di trovarsi di fronte a un tentativo di suicidio europeo. Primo: possibile che l’erogazione del prestito non potesse essere garantita a livello comunitario? Un po’ come quando le banche mettono in piedi i consorzi a garanzia di un aumento di capitale: se qualcuno non lo sottoscrive, ci pensa il consorzio. A livello europeo ciò non è evidentemente possibile, e le elezioni di un Land hanno innescato la mina. Secondo: possibile che la politica europea, tedesca in particolare, sia così miope (o ipocrita)? Come si può pensare che un prestito alla Grecia non riguardi i tedeschi: andiamolo a chiedere a un ateniese che, con una buona probabilità, potrebbe avere una Golf, un conto alla Deutsche Bank, una polizza Allianz e in bagno una scatola di Aspirina Bayer. Completa il quadro il calcolo che nelle banche tedesche ci siano 30-40 miliardi di titoli greci. Terzo: possibile che l’Europa non sia in grado di scrivere per la Grecia un elenco di richieste triennali con il dettaglio di tagli e riforme considerato necessario e sufficiente? Gli economisti dicono che il problema è risolvibile, ma ogni giorno che passa diventa più complicato.
Ieri è tornato ad aumentare anche lo spread tra i Btp e i Bund tedeschi: 20-25 punti di rendimento in più per quelli italiani. Seguono spagnoli, irlandesi, portoghesi. Il contagio è alle porte. Se non è questo un buon motivo per spingere gli europei a sentirsi tali, ci chiediamo cosa lo possa essere.
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