Cronache

Il tradimento francese che decimò i balestrieri

Durante l’attacco un violento temporale rese il terreno viscido e provocò l’allentamento delle corde delle balestre rendendole inservibili

Alberto Rosselli

Per quasi tutto il medioevo la Repubblica di Genova si distinse non soltanto nella tradizionale pratica dei commerci o in quella finanziaria ma anche nel settore militare. In più di un'occasione, la Superba fornì ripetutamente flotte e contingenti armati di balestrieri alle principali potenze straniere dell'epoca, come ad esempio alla Francia impegnata, nel corso della Guerra dei Cento Anni, contro l'Inghilterra: conflitto la cui prima fase si concluse con la sanguinosa e sfortunata (soprattutto per i genovesi) battaglia di Crécy del 26 agosto 1346 che segnò l'inizio del declino del corpo dei balestrieri liguri e della loro pesante ma efficace arma. Nella prima metà del XIV secolo, il modello di balestra genovese era quella cosiddetta a staffa che si differenziava da quella, più grossa, cosiddetta da posta, cioè da difesa statica, utilizzata nel resto dell'Europa. Tra il XII e il XIII secolo, la balestra genovese fu sottoposta a diverse modifiche e perfezionamenti tecnici, diventando un mezzo offensivo molto temibile. La costruzione di questa tipica arma era affidata ad armaioli specializzati che, a partire dal 1275, vennero riuniti in un'apposita corporazione. La produzione della balestra a staffa - pesante circa 6 chilogrammi - era molto accurata e sottoposta ad un rigido controllo tecnico e qualitativo da parte delle autorità della Repubblica.
All'inizio del 1364, due nobili genovesi fuoriusciti, Antonio e Stefano Doria, rifugiatisi a Marsiglia con 34 galee e 12.000 armati (6.000 dei quali balestrieri) per sfuggire all'esercito del doge Giovanni Murta al quale si erano ribellati, decisero di schierarsi a fianco del re di Francia impegnato contro l'Inghilterra di Edoardo III nella speranza di ricavarne una certa somma e di ottenerne forse il successivo appoggio contro il doge. E il re di Francia accettò di buon grado l'offerta dei genovesi. D'altra parte, non era la prima volta che truppe liguri combattevano nelle file dell'esercito transalpino. Già nel 1302, balestrieri genovesi avevano combattuto con valore sotto gli stendardi franchi a Courtray, contro l'armata fiamminga. Pur disponendo di una forte e numerosa cavalleria «nobiliare» e di un discreto numero di fanti, l'esercito di Filippo VI di Valois difettava, al contrario dell'esercito inglese, di arcieri, ragion per cui gli oltre 6.000 balestrieri di Antonio e Stefano Doria vennero inseriti dal re nella sua compagine, nonostante il parere contrario di molti nobili cavalieri di Filippo che reputavano inaffidabile la «plebea» truppa ligure. A quel tempo, infatti, l'esercito del Valois era ancora una compagine organizzata, sia sotto il profilo strutturale che organizzativo, su base censitaria, e la fanteria veniva considerata pura e semplice massa di manovra, mentre alla cavalleria, solitamente schierata su linee arretrate o sulle ali, spettava l'onere e l'onore di sferrare gli attacchi decisivi ai fini della vittoria. All'inizio dell'estate del 1346, l'armata francese, confluì nella zona collinare di Crécy, un tranquillo borgo di campagna nei pressi dell'estuario della Somme, non molto distante dal Passo di Calais, dove precedentemente era sbarcata l'armata inglese. Filippo VI decise di prendere immediatamente l'iniziativa contro l'esercito di Edoardo III, i cui attendamenti distavano poche miglia. All'alba del 26 agosto, ottomila cavalieri, 4.000 uomini d'arme, ben 44.000 fanti e circa 6.000 balestrieri genovesi presero posizione, del tutto sfavorevole sotto il profilo tattico, ai piedi dei colli già presidiati dall'esercito inglese che - per quanto concerneva l'organizzazione, la composizione e l'armamento individuale - risultava nettamente superiore. Si trattava di una compagine mista, ma ben amalgamata nella quale nobili, artigiani e contadini vivevano e combattevano fianco a fianco. Edoardo poteva contare su 2.400 cavalieri, tremila uomini d'arme, cinquemila fanti, ben 12.000 addestrati arcieri e - autentica innovazione tecnologica - una dozzina di rudimentali ma rumorosissime bombarde. Come prima mossa, il Valois fece schierare in prima linea centrale i balestrieri genovesi, ordinando ad essi di avanzare da soli verso la muraglia di picche e lance della fanteria inglese che li attendeva a piè fermo.
I genovesi, ancora affaticati dalle marce di avvicinamento, tentarono di opporsi, anche per il fatto che dietro i ben protetti fanti inglesi, avevano scorto la temibile massa degli arcieri, pronti ad investire gli attaccanti con nugoli di frecce. Ma le sensate osservazioni dei liguri vennero intese dai cavalieri francesi alla stregua di codarde invocazioni, tanto che il duca di Alençon, comandante non certo noto per il suo talento militare (in precedenza egli era stato più volte battuto dal nemico) si pronunciò da par suo: «ecco cosa si ottiene ad impiegare furfanti che se la squagliano appena c'è qualcosa da fare!». Colpiti nell'orgoglio, i genovesi partirono all'attacco dell'impenetrabile baluardo inglese, proprio nel mentre si scatenava un improvviso quanto violento temporale che, nell'arco di pochi minuti, rese il terreno viscido e melmoso. L'acquazzone provocò anche l'allentamento delle corde di canapa delle balestre, rendendone inservibile una gran parte. Nonostante ciò, i liguri proseguirono nella loro disperata avanzata, venendo investiti e bloccati dal preciso tiro degli arcieri inglesi. Dopo avere ricoperto di improperi e maledizioni i balestrieri, i cavalieri francesi, che fino a quel momento erano stati al sicuro, travolsero di proposito la schiera genovese in fase di arretramento: manovra che però li espose al tiro britannico. Dimostrando non molto acume, il Valois ordinò allora alle altre file dei cavalieri di caricare la muraglia di picche inglesi: tentativo che si risolse in un disastro. Decimata la cavalleria nemica, dal compatto schieramento inglese si mossero al contrattacco i fanti di Edoardo che si riversarono sull'armata franco-genovese ormai in rotta, annientandola. Filippo di Valois, che nel parapiglia era stato ferito, riuscì comunque a mettersi in salvo, con non più di qualche centinaio di suoi fidi. Nell'immane disastro di Crécy persero la vita o vennero feriti quasi 30.000 tra soldati e cavalieri dell'esercito francese, compresi circa 5.000 genovesi, comandanti inclusi. Irrisorie risultarono, invece, le perdite inglesi: 200 soldati, due cavalieri e uno scudiero. Sotto il profilo politico, la battaglia di Crécy - che si rivelò uno dei più determinanti eventi bellici europei del basso Medioevo - provocò un drastico ridimensionamento della monarchia francese e, per contro, un notevole rafforzamento di quella inglese, anche in ambito continentale.

Mentre dal punto di vista squisitamente militare, lo scontro segnò la fine della balestra «ligure» come arma tattica da fanteria e la temporanea rivincita dell'arco che, tuttavia, di lì a non molti decenni sarebbe stato soppiantato dalle armi da fuoco.

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