Cultura e Spettacoli

Tragedia e un po’ di noir Ecco un prezioso Camus

Macerata Un po’ tragedia greca e molto noir, in mezzo a noi vive la storia in gesti, parole e musica, di una madre e una figlia sciagurate: gestiscono una locanda, danno il sonnifero ai visitatori, li depredano e li buttano nelle acque d’una chiusa. Arriva il loro figlio e fratello, che non vedevano da tempo: non lo riconoscono e buttano giù anche lui per le acque. Si uccideranno, alla scoperta, e separatamente. La moglie del malcapitato si dispera, chiede aiuto ad un vecchio cameriere, silente e misterioso come Dio, e lui risponde: No. È la pièce di Albert Camus Le malentendu, ovvero il malinteso. Il regista Saverio Marconi, che è dei pochi bravissimi ed interessanti, accosta pochi nudi elementi a tracciare la squallida pensioncina, dove pochi percorsi bastano a dare il fondo d’un mistero esistenziale. Rigorosamente a pianta centrale, con spettatori in piccole gradinate e in balconata, dà persino fastidio tanto è credibile. I personaggi cantano, con la logica di una rappresentazione in prosa affollata di musiche di scena disponibili a insinuare atmosfere o a eccitare i protagonisti con sonorità ardue e sprezzanti. Cantano, come farebbero nel melodramma verista, ma con gli intervalli delle scuole successive attentamente mescolati: influssi francesi temprano le durezze tedesche; il guaio è che, arrampicati spesso in alto sul pentagramma, lo sforzo del fraseggio compromette la naturalezza della conversazione. Se il danno è limitato ed il successo caldo, è perché l’autore Matteo d’Amico, colpisce per l’esattezza della strumentazione. Così, fa notevole figura il direttore Guillaume Tourniaire, che ha a disposizione sette strumentisti tra cui il magnifico Quartetto Bernini, ed una compagnia molto intensa con Sofia Solovij, Mark Milhofer, Elena Zilio.
Intanto, allo Sferisterio, si dà La Traviata; in costumi suggestivi, con tradizionali scene e tracce di regìa di Massimo Gasparon, ci fa ascoltare la suadente voce del tenore Alejandro Roy, l’efficacia del baritono Gabriele Viviani e offre la non imprevedibile ma impeccabile Violetta di Mariella Devia, un classico nella storia dell’opera, un bene nazionale ed internazionale per la sua perfezione.

Non farà sempre gridare «Viva Verdi!», ma certo lo fa continuamente pensare.

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