Tanto per essere subito chiari: almeno stavolta possiamo risparmiarci lo stucchevole teatrino allitaliana delle polemiche sui soccorsi. La squadra di rianimatori del professor Tredici, da quasi trentanni al Giro, è quella che tutti dovrebbero trovarsi accanto nei momenti difficili. Se al povero Weylandt fosse rimasta una sola possibilità di salvarsi, lequipe di Tredici lavrebbe colta al volo e lavrebbe trasformata in vita. Come è già successo altre volte. Ma purtroppo non sempre il destino concede questa estrema possibilità: non nel caso del ragazzo belga, morto sul colpo.
Alla larga allora le chiacchiere inutili. Il ciclismo sarà pure lo sport dei dannati, ma resta uno sport di altissima e sofisticata organizzazione, perché percorrere migliaia di chilometri su strade comuni, lungo valli impervie e attraverso città caotiche, non è uno scherzo qualunque. Già il rischio di incidenti è altissimo, già la componente fatalità è pesantissima, lunico argine possibile resta aumentare al massimo la soglia della prevenzione. Tutto è perfettibile, ma in questo il Giro ha molto da insegnare a chiunque.
E non solo. Qualcosa ha da insegnare, o comunque da vantare, sul piano più alto dellumanità e della compassione. La lunga giornata di Rapallo, almeno in questo, può consolare. Per una volta, almeno qui, a nessuno passa per il cervello di adottare il famoso schema «the show must go on», quello che in troppe occasioni altre discipline e altri settori della vita hanno adottato come foglia di fico sul più bieco cinismo. Il senso di dispiacere cala subito sul Giro in modo spontaneo e sincero. La Rai, attraverso le voci sobrie e composte di Francesco Pancani e di Auro Bulbarelli, devia la diretta sul delicato registro della tragedia. In strada, lorganizzazione di Angelo Zomegnan si premura di spegnere allistante la festa e di preparare la folla allirreparabile. Niente restituisce la vita a Weylandt, ma tutto questo ha un valore simbolico assoluto e va definito con una semplicissima parola, stracarica di significato: si chiama rispetto.
Sì, il ciclismo è lo sport del doping. Ma per fortuna sa ancora essere lo sport dei sentimenti veri e dellumanità sincera. Almeno in certe situazioni, almeno quando serve. Adesso si discuterà se sia il caso di gesti molto più plateali ed estremi, come fermare la corsa. Ma così davvero si entrerebbe direttamente nel campo dellinutile retorica.
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