Transizione energetica

Siamo in piena "battaglia del gas": che cosa ci aspetta davvero

Il Pitesai va in controtendenza con gli obiettivi del governo sul gas? Leggendo il piano sembrerebbe di sì

Siamo in piena "battaglia del gas": che cosa ci aspetta davvero

Un piano atteso da tempo ma che crea più problematiche sistemiche di quelle che mirerebbe a risolverle. Il Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee (Pitesai), atteso dai tempi del governo Conte I, non è certamente entrato in vigore in un momento felice e con un tempismo ottimale dopo l'approvazione da parte del Ministero per la Transizione Ecologica. In un contesto che vede l'Italia affamata di gas, in bolletta e sempre più dipendente dalle importazioni e in cui le strategiche forniture della Russia appaiono pericolanti il via libera a un decreto che di fatto condiziona e riduce il perimetro di azione del settore estrattivo nazionale rischia di creare imbarazzo.

“La produzione di idrocarburi nazionali – si legge nel documento del Pitesai approvato dal Mite – è concentrata solo in una ridotta percentuale delle concessioni attive. Si richiama infatti che gran parte della produzione complessiva di gas nazionale registrata nel 2020 è ascrivibile alle 17 concessioni più produttive che hanno realizzato complessivamente 3.566 milioni di metri cubi di gas". Inoltre, "circa il 9% delle concessioni attive fornisce oltre l’80% della produzione nazionale". Il preambolo

Il governo Draghi, costretto a mediare con una situazione che ha visto l'estrazione di gas naturale dai giacimenti nazionali calare del 75% da inizio secolo, ha allo studio strategie volte a raddoppiarla fino ad almeno 7 miliardi di metri cubi la produzione annua. Questo mirerebbe a portare attorno al 10% la capacità italiana di soddisfare la propria domanda da fonti interne, e consentirebbe, complici le altre forniture (Norvegia, Algeria, Mediterraneo orientale) e il capitale operativo dato dal Tap e dal gas azero (10 miliardi di metri cubi di forniture nel 2021) di ridimensionare la dipendenza da Mosca. Tuttavia l'apertura dei nuovi pozzi — da assegnare a prezzo convenzionato tramite gare — e i circa 2 miliardi di euro di investimenti necessari dopo anni di blocco a causa della moratoria no-triv, cavalcata dal governo Conte I e ratificata dal governo giallorosso, sono mosse in controtendenza con la logica del Pitesai.

Il Pitesai, ricorda Il Sole 24 Ore, "stabilisce i criteri per definire dove si può e dove non si può cercare o sfruttare i nuovi giacimenti di gas, dice che i giacimenti già in attività possono continuare a lavorare anche se sono nelle zone vietate (ma in questo caso andando a esaurirsi), e dice che si può investire sul solo metano", dimenticando il petrolio, ma andando al contempo in parte a bloccare quanto previsto dal Decreto Bollette, che offre il destro all'estrazione crescente dai giacimenti nazionali. Il Pitesai stabilisce le aree escluse dalla possibilità estrattiva indicando come escluse da essa il 42,5% della superficie nazionale terrestre e il 5% dell'area marittima, facendo calare gli spazi a disposizione per la ricerca di idrocarburi a disposizione del 50% nel primo caso e addirittura dell'89% nel secondo. bito del Piano comprende il 42,5% del territorio nazionale in terraferma e il 5% della superficie marina, con una diminuzione teorica rispetto al periodo pre-moratoria del 2019 del 50% a terra e dell’89% a mare. Il giornalista freelance Andrea Turco su EconomiaCircolare.com ha così sottolineato che in questo caso "si va di deduzione: si continuerà a estrarre dove si è sicuri che c’è molto gas. I giacimenti più copiosi, in questo senso, sono nel Mar Adriatico, in Basilicata e in Sicilia". In altre parole, il Pitesai era indispensabile per poter riattivare gli investimenti, perché nessun imprenditore energetico avrebbe messo del denaro per lavorare su pozzi in aree destinate alla fine dell'esplorazione; ma al contempo, riduce notevolmente gli spazi d'azione e al massimo consente di conservare l'esistente.

Di conseguenza appare assai improbabile che il combinato disposto tra il Pitesai e le altre politiche possa creare un contesto idoneo a portare al successo i piani del governo Draghi: di conseguenza, senza gas naturale sarà molto complicato avviare le politiche di transizione energetica che hanno bisogno di questa cruciale risorsa ponte per aprire la strada alla decarbonizzazione.

E in una fase di volatilità geopolitica globale la partita è sempre più intricata.

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