Firenze - Una distrazione, un «reattivo» che inspiegabilmente diventa «negativo». E gli organi di una donna sieropositiva all’Hiv, deceduta all’età di 41 anni, finiscono nel corpo di tre persone che adesso si ritrovano esposte al fortissimo rischio di diventare a loro volta sieropositive. C’è un errore umano alla base dell’incredibile vicenda accaduta nei giorni scorsi all’ospedale fiorentino di Careggi. La notizia dell’incidente - un «evento estremamente grave», lo hanno definito i medici - è stata diffusa ieri mattina dal direttore dell’Organizzazione toscana trapianti, Franco Filipponi e dal direttore sanitario dell’Azienda Ospedaliero Universitaria di Careggi, Mauro Marabini.
Il racconto di quanto accaduto è la spiegazione di una «storia terribile», di cui gli stessi medici stentano ora a dipanare la matassa. Tutto ha avuto origine la settimana scorsa, quando a Careggi è arrivato il corpo di una donna di 41 anni, morta a causa di un’emorragia cerebrale. Dopo il «via libera» della commissione che si occupa di effettuare l’accertamento della morte, un’équipe ha compiuto le consuete analisi di laboratorio sul cadavere. Tra queste, proprio in vista di un eventuale trapianto d’organi, gli esami del sangue. Ed è qui che il destino ha iniziato a tessere le fila di questa vicenda: un operatore del laboratorio ha sbagliato nel trascrivere manualmente i risultati di un esame. La strumentazione ha regolarmente compiuto l’analisi del sangue e il suo responso è stato «reattivo», vale a dire positivo. Eppure qualcosa è andato storto: sull’incartamento, la biologa avrebbe scritto la parola «negativo». E il trapianto è stato immediato, senza passare dalla banca degli organi.
Dal laboratorio di analisi, l’errore si è trascinato lungo tutti i passaggi successivi: la valutazione degli organi in sé - un fegato e i due reni della donna - ha dato esiti del tutto normali e il trapianto è stato eseguito come da prassi su tre pazienti. Sta di fatto che il virus dell’Hiv, di cui la donna era contagiata, potrebbe essere stato inoculato nei tre pazienti toscani. E nessuno si sarebbe accorto di nulla, se l’esame sierologico di archiviazione non avesse permesso di scoprire l’errore. Un campione di sangue e siero della donna è infatti stato mandato a Pisa, in un apposito centro di raccolta che funge da banca dati: i dati sono conservati per trent’anni. Ed è proprio lì che i medici, nell’effettuare un ulteriore controllo ematico, hanno scoperto l’errore. Un caso rarissimo, nella letteratura medica: in Italia dovrebbe trattarsi del primo episodio in 25 anni di trapianti. A Careggi, dove si fanno 8 milioni di esami l’anno, non era mai successo. In realtà, un caso analogo era accaduto nel 1996 a Bologna, ma all’epoca il test Hiv pre-espianto non era obbligatorio e i medici non potevano sapere che il paziente avesse il virus.
Immediatamente la «rete» trapiantologica si è messa in azione per cercare di correre ai ripari, attivando la commissione infettivologa nazionale per affrontare l’emergenza. I pazienti sono stati informati di quanto era successo e due su tre hanno acconsentito a far sì che i medici avvisassero i familiari. Del fatto è stata anche informata la Procura di Firenze, che ha aperto un’inchiesta per lesioni colpose. Adesso i dottori stanno cercando di evitare la «sieroconversione», cioè che gli organi possano rendere sieropositive le persone che li hanno ricevuti. Le possibilità che i pazienti non manifestino l’immunodeficienza, però, è molto bassa: nonostante fegato e reni siano stati trapiantati privi del sangue, qualche cellula in grado di trasportare il virus può essere rimasta. Tanto che i medici parlano di «elevata possibilità di sieroconversione».
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