È considerato una valida alternativa terapeutica al più noto trapianto da donatore cadavere. Eppure, il trapianto di rene da vivente rappresenta solo l'11 per cento dei trapianti eseguiti in Italia ogni anno, come rivelano i dati presentati da esperti internazionali e nazionali che si sono riuniti a Roma presso la Camera dei Deputati per discutere delle potenzialità e delle criticità legate a questa tipologia di intervento.
Nel corso dell'incontro si sono analizzate problematiche etiche, legislazione in materia, tecniche chirurgiche sviluppate negli ultimi anni e riflessioni sulle scelte comunicative per proporre la donazione da vivente e vincere, così, le resistenze riscontrate nell'opinione pubblica e tra gli stessi operatori.
L'iniziativa di sensibilizzazione per i cittadini italiani e di confronto scientifico internazionale è stata realizzata grazie ai fondi raccolti dal Senato della Repubblica in occasione del Concerto di Natale dello scorso anno.
«L'incremento dei trapianti di rene da vivente e la promozione di questa scelta terapeutica rappresentano nel loro insieme un obiettivo strategico della Rete Nazionale Trapianti anche nell'ottica di un progressivo aumento dell'aspettativa di vita della popolazione italiana e di un conseguente innalzamento dell'età media dei donatori per quanto concerne il prelievo di organi da cadavere», ha dichiarato Alessandro Nanni Costa, direttore del Centro Nazionale Trapianti. Il trapianto da vivente, quindi, costituisce un'alternativa efficace.
«Nel nostro Paese la regolamentazione giuridica del trapianto di rene da vivente (legge 26 giugno 1967, n. 458) - dichiara Lorenzo D'Avack, Vice Presidente Vicario del Comitato Nazionale di Bioetica - si ispira a questi criteri e principi ed è stata costruita come esplicita deroga all'articolo 5 del vigente Codice civile che vieta ogni atto di disposizione del proprio corpo qualora ne possa derivare un danno biologico permanente e qualora sia contrario al buon costume e all'ordine pubblico. La normativa autorizza la donazione e il trapianto di rene sia tra consanguinei che fra estranei affettivamente collegati, qualora i primi non siano reperibili, ma non esclude la possibilità che vi possano essere casi di donazione di rene anche fra persone totalmente estranee come nel caso della donazione samaritana e della donazione cross-over».
«Nel complesso l'intero procedimento è circondato da una serie di cautele normative - conclude D'Avack - allo scopo di garantire la partecipazione libera e consapevole dei potenziali donatori e la concreta realizzazione di interessi solidaristici con esclusione di finalità di lucro (registro dei possibili donatori, valutazione da parte di un collegio medico dell'idoneità fisica e psichica del donatore, controllo e autorizzazione data dal Tribunale)».
A chi spetta, dunque, il compito di proporre, al malato e alla sua famiglia, la possibilità di eseguire un trapianto da vivente? «La vicenda della donazione e del trapianto - dice Alessandra Feltrin, responsabile Area Psicologia e Formazione del Centro Regionale Trapianti Veneto - ci mette di fronte alle storie delle persone, alle prese con le biografie familiari; ci dà il potere di influenzarle, modificando gli equilibri tra i vari componenti, i bisogni e le aspettative reciproche, a volte la qualità delle relazioni. Questa consapevolezza ci darà la misura del compito che abbiamo di fronte e dell'importanza di individuare e attuare strategie di assistenza e accompagnamento adeguate».
La strada da fare, però, è ancora lunga. «L'insufficiente informazione dei medici, dei pazienti e dei potenziali donatori; la fase di preparazione molto lunga necessaria per la valutazione della potenziale coppia donatore/ricevente e l'estrema tutela del donatore sono solo alcune delle ragioni che impediscono un reale sviluppo di questo programma nel nostro paese» ha dichiarato Paolo Rigotti, responsabile della SSD Trapianti Rene e Pancreas del Dipartimento di Chirurgia generale e trapianti d'Organo Azienda Ospedaliera di Padova.
Eppure l'Italia è anche il paese in cui è sviluppato e di alto livello il programma pediatrico. «Il trapianto renale è certamente anche in età pediatrica una pratica consolidata - dichiara Luca Dello Strologo, responsabile del Dipartimento di Nefrologia e Urologia Pediatrica dell'Ospedale Bambino Gesù -. Per quanto i tempi di attesa in lista non siano lunghi come per l'adulto, la permanenza in dialisi per un bambino è vissuta con estrema difficoltà.
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