Una trappola di fuoco davanti alla scuola Ammazzata a 16 anni

nostro inviato a Brindisi

La corriera blu che arriva da Mesagne si è appena fermata. Dal pullman scende un gruppone di ragazze che puntano verso la loro giornata scolastica. Non c’è fretta. Pochi passi lungo viale Palmiro Togliatti, una strada a doppia carreggiata; alle spalle il tribunale, più avanti, svoltato l’angolo, la loro scuola, un istituto tecnico tutto al femminile dove prendere un diploma e provare a confezionare un futuro dignitoso. Il sogno dei quindici anni è diventare stilista, ma la prosa, che in una città come Brindisi arriva presto, parla di un domani da maestra d’asilo o assistente sociale. Chiacchiere, pensieri, sorrisi. Ora le amiche si dividono. Qualcuna va al bar Corallo, dall’altro lato di viale Togliatti, un’altra fugge per un breve appuntamento misterioso. Le altre procedono verso il Morvillo-Falcone, nome doppio e impegnativo per un’età sbarazzina. Camminano sul marciapiede Vanessa, Selena, Sabrina, Vittoria, Azzurra, Veronica, Melissa. Hanno quindici-sedici-diciassette anni e mezz’ora di svago prima dell’inizio delle lezioni. Sono le 7.42. Hanno girato l’angolo di via Galanti e sono quasi all’ingresso. C’è un muretto su cui poggia un’inferriata. Eccole, sono quasi arrivate e non fanno caso a quel cassonetto blu per la raccolta del vetro e dei metalli. È lì dove non dovrebbe stare, quasi appoggiato alla recinzione. Una mano maligna l’ha spostato di una trentina di metri. E la stessa mano assassina ha piazzato al suo interno tre bombole del gas. Le giovani vengono investite in pieno dall’esplosione, anzi dalle tre esplosioni che si susseguono in pochissimi secondi. Melissa viene sventrata dalle schegge. E quel che non hanno fatto gli ordigni viene completato dalla vampata del Gpl, altamente infiammabile. I corpi sono preda del fuoco. S’incendiano gli zaini, s’incendiano i capelli, bruciano senza fiamma i pantaloni che fumano letteralmente.
Corrono le miracolate che si erano attardate al Corallo, arriva di corsa l’edicolante, e poi il barista, alcuni inquilini dalle case popolari che fronteggiano la scuola. Sangue. Fumo. Brandelli e odore di carne bruciata. Si precipitano alcune professoresse che di solito si fermano nel prato spelacchiato fra la recinzione e l’atrio e invece questa volta sono andate direttamente alle macchinette del caffè e così possono ringraziare un bicchierino di plastica se l’hanno scampata. Ecco, ora frena anche il pullman che proviene da Tuturano, un paese delle provincia: è in ritardo. Pochi minuti che i ragazzi ricorderanno come il dono più prezioso. Un’ambulanza porta via Melissa, ma si capisce subito che il suo destino è segnato. Anche Veronica è in condizioni drammatiche: il petto squarciato, ustioni su tutto il corpo. Adesso le serve davvero un miracolo. Le ustioni, sono le ustioni a preoccupare, come alla stazione di Viareggio. Pochi minuti e Vanessa dall’ospedale ha la forza di chiamare la madre: «Stiamo bene, mamma, forza». Vanessa dice solo una parte della verità, perché Veronica è sua sorella, la sorella più piccola. Ma lei non sa o non vuole raccontare tutto. Via Galanti ora è un formicaio impazzito, tutta Brindisi è un formicaio in fibrillazione. La notizia ha fatto il giro della città in un amen, molti hanno sentito il botto da casa o dal posto di lavoro e nel carosello, frammentario, delle voci tutti pensano ai loro figli. I padri corrono a recuperare i loro ragazzi, qualcuno, davanti agli insegnanti disorientati, piange, impreca, implora, come in guerra. C’è chi dice che abbiano trovato altre due bombe in altri licei e che le abbiano disinnescate nel silenzio, per non esasperare la gente già fuori di sé.
«Quando ho curvato con il mio taxi per via Galanti - racconta Dino - ho visto tante ragazze a terra. Erano stordite, non sentivano più nulla perché avevano ancora lo scoppio nelle orecchie. Una non voleva, forse per pudore, che le sfilassero i pantaloni». Un papà si aggira nel piazzale e non si riesce a capire se sia felice o disperato. Le parole, pronunciate quasi in trance, aiutano a capire quella tempesta: «Mia figlia si è salvata perché si è allontanata dal gruppo per andare a parlare con un ragazzo. È tutta bruciata, il viso, i capelli, il corpo, le è scoppiato il telefonino in mano, ma c’è ancora».
Certo, il quadro è terribile, ma in tutta Brindisi è un coro che ripete le stesse parole: «Se l’esplosione fosse avvenuta dieci, quindici minuti più tardi, intorno alle otto, quando c’è il massimo afflusso, ora conteremmo cinquanta, cento morti». Invece si piange un morto e un pugno di feriti, cinque, anche se gravi e gravissimi. Ora il papà di Selena può sperare. È nella sala d’attesa del reparto di chirurgia plastica del Perrino e già incrocia i bagliori della peggior mattinata della sua vita con il germoglio incerto del domani: «Selena ha sentito un boato ed è caduta per terra. Poi ha visto le sue amiche sanguinanti, ma non poteva alzarsi per soccorrerle. Quando ha potuto ci ha contattato ma cadeva la linea. A noi genitori è stato detto di correre in ospedale perché il pullman aveva avuto un incidente. Selena ha ustioni di secondo e terzo grado sul viso e in settimana si deciderà come operarla».
Per terra, davanti alla scuola, restano pezzi blu di cartelloni divelti. E un grande macchia nera sul muretto, dove Melissa ha concluso troppo presto la sua corsa.

Dall’altra parte della piazza, il segno forse più impressionante della forza maligna: uno sbrego enorme nella saracinesca di un negozio. A terra invece ci sono ancora gli zaini anneriti, i quaderni aperti e perfino la relazione che una delle studentesse aveva preparato sulla legalità.

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