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Trasferito il boss Setola nel carcere di Milano

Il boss dei Casalesi è detenuto nel carcere di massima sicurezza di Opera. Il trasferimento è avvenuto. Ieri sera su disposizione del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Nello stesso penitenziario c'è anche il boss napoletano Schiavone, detto Sandokan

Trasferito il boss Setola nel carcere di Milano

Napoli - Il boss dei Casalesi, Giuseppe Setola, è detenuto nel carcere di massima sicurezza di Opera a Milano dove è stato trasferito ieri sera su disposizione del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. La scelta dell’Istituto lombardo è stata adottata dal Dap perchè ritenuto uno dei più sicuri e adatto ad accogliere detenuti di massima pericolosità così come è valutato l’ex latitante campano. Nello stesso carcere, ma in un’altra ala, è detenuto anche il boss napoletano Schiavone, detto Sandokan. Per Setola il Dap ha disposto l’applicazione del 14bis, il regime di detenzione più rigoroso del più noto 41bis.

Le intercettazioni delle esecuzioni "Li dobbiamo uccidere, hai capito? Na botta ’nfaccia". Spietati ordini in dialetto, ma anche risate, voci che intonano canzoni neomelodiche. E poi gli spari dei mitra, colonna sonora dell’ultima strage portata a termine. Sono il contenuto di un’intercettazione ambientale, pubblicata da Repubblica, che inchioda il boss camorrista Giuseppe Setola, arrestato tre giorni fa. Oltre venti interminabili minuti di intercettazione eseguita dai carabinieri del casertano, coordinati dal colonnello Carmelo Burgio e ora in mano alla Procura di Napoli che ha firmato la cattura del boss. L’intercettazione racconta in diretta due tentati omicidi. Si tratta del duplice agguato di Trentola Ducenta, nel casertano, l’ultimo raid firmato da Setola, quasi un mese prima della sua resa. È il 12 dicembre scorso, sono le 22. Le due spedizioni punitive vengono messe a segno a distanza di pochi secondi, sempre nel cuore del paese di Trentola, lo stesso dove - venti giorni più tardi - si scoprirà il covo di Setola, un basso dal quale il boss riesce a fuggire calandosi nelle fogne. I sicari escono armati di almeno quattro armi. La follia criminale si concentra contro due nemici, Salvatore Orabona e Pietro Falcone. Il primo, vanno a colpirlo in via Caravaggio. Il secondo, a pochi minuti di auto, in via Vittorio Afieri. Entrambi sono "colpevoli", agli occhi del capobranco, di non aver versato parte delle tangenti raccolte sul territorio nella cassa di Setola. Non lo riconoscono come il plenipotenziario del padrino Bidognetti, oggi in carcere. In azione, c’è un commando di cinque o sei uomini. Due auto portano i killer, una delle quali è la Lancia Y sotto intercettazione. 

I racconti dei sicari Il viaggio raccontato da "loro", dai sicari, è un sonoro raggelante. "Ma noi quando arriviamo là sopra, chi vogliamo trovare?". L’altro risponde: "Ci vuole una botta in faccia. Dobbiamo uccidere a tutti e due". Passano pochi minuti, cantano. Poi arrivano in via Caravaggio. Si fanno avanti Granato e Barbato, due dei killer, spiega Repubblica. Ma il trucco di attrarre fuori del portone Orabona con un vassoio di dolci e una bottiglia di spumante non funziona. Allora quelli sparano come pazzi. Le vittime si richiudono in casa, chiamano il 113. E i killer si scatenano. "Cornuto vieni fuori", gridano. "Dai esci cornuto, che uomo sei". E ancora: "Mannaggia ora ho finito il caricatore e adesso ho soltanto la 38". Insulti alla moglie, bestemmie. "Lo dobbiamo appicciare anche di notte", gli appicchiamo il fuoco. Risulterà poi, la perfetta coincidenza logica e temporale tra questa registrazione e l’intercettazione simmetrica, stavolta telefonica, del raid così come l’ha vissuta la mancata vittima, Orabona. Che parla al cellulare con l’amico Peppe e si sfoga: "Hai capito? Quel cornuto è venuto a citofonare con una guantiera di paste e la bottiglia di champagne. Ma io l’ho visto, e dietro a lui c’era Peppe Setola, c’era Cascione. Hanno sparato come i pazzi, io mi sono salvato perchè tenevo il pigiama e mi stavo cambiando, ma se io già mi ero messo la camicia e mi affacciavo, ero morto". A sparare, attestano anche i pm, c’è infatti Setola con il mitragliatore, Peppe ’a puttana. E poi: Giuseppe Barbato detto Peppe ’o Cascione; Raffaele Granata; Angelo Rucco, Angioletto o Chiattone. E i pm sospettano anche di Paolo Gargiulo, ovvero Calimero: un nome segnato in rosso perchè era il fedelissimo che parlò, senza sapere di essere captato, dei cinquanta chili di tritolo in possesso del gruppo Setola.

Era Gomorra quando sfidava lo Stato, con cento colpi in diretta.

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