Il trasformista che ama Mozart e gioca col jazz

«Joni Mitchell, Joni Mitchell, Joni Mitchell ti ringrazio». Con queste parole Herbie Hancock ha festeggiato il suo Grammy, che a sorpresa ha premiato un gigante del jazz a 43 anni dal successo della mitica coppia Stan Getz-Joao Gilberto (miglior album e miglior singolo per Girl from Ipanema).
In realtà Grammy ne ha vinti una sfilza, ma ora ha trionfato non solo nella categoria jazz, ma anche a tutto campo come miglior album dell’anno, sul terreno dei grandi del pop e del rock. Hancock è un simbolo della musica afroamericana, uno degli artisti che, tra mille polemiche, ha seguito un percorso trasversale nel vero senso della parola: un bambino prodigio che parte a 11 anni con le Sonate di Mozart e un elegante marpione che con River, la rilettura dei brani di Joni Mitchell con l’aiuto di un tribuno del sax come Wayne Shorter ma anche delle voci di Tina Turner, Norah Jones, Leonard Cohen. In mezzo un’altalena di esperimenti, di provocazioni che hanno ora entusiasmato ora disgustato l’inclito e il colto. Per i jazzofili, il miglior Hancock è quello dei primi anni Sessanta che affianca Miles Davis in un gruppo stellare (uno dei più brillanti di tutti i tempi) con Ron Carter, Tony Williams e Wayne Shorter. Il pianista sarà anche uno dei protagonisti della svolta elettrica di Davis prima di farsi prendere la mano e avviarsi sulla china del rock e dell’elettronica a scopi commerciali. Nel 1974 infatti batte tutti i record di vendita con l’album Headhunters beccandosi la rampogna di Arrigo Polillo, che sintetizza il giudizio degli appassionati definendolo «l’eccellente pianista jazz divenuto, per fortuna solo per qualche anno, dispensatore di rock elettronico di grana grossa, con immensa fortuna». Da lì, diventato una star, s’è divertito a sdoppiarsi. Ha cavalcato il jazz di qualità guidando i V.S.O.P.(la band di Davis con Freddie Hubbard al posto del leader); i duetti di pianoforte con Chick Corea; le band con Dave Holland, Jack DeJohnette, Pat Metheny; registrando album come Direction in music con Michael Brecker e Roy Hargrove.

S’è baloccato a spiazzare il pubblico con il funky esasperato, ha mischiato elettronica, techno e hip hop in Future2Future con Bill Laswell, la sua Cantaloop è diventata un inno dei rapper grazie alla versione degli Us3 e, per non farsi mancare niente, ha registrato Possibilities con Paul Simon, Annie Lennox, Christina Aguilera. Trasformismo o pura genialità? Lui risponde: «Il difetto dei puristi è che viaggiano col paraocchi perdendosi un sacco di cose. A me piacciono anche Simon & Grafunkel».

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