Politica

Trasformisti degli anni di piombo

La mattina in cui Walter Tobagi fu assassinato ero a Toledo. Stavo seguendo, come inviato del Giornale, il viaggio ufficiale in Spagna del presidente Sandro Pertini. Quella di Toledo era una tappa turistica e artistica piuttosto che politica del programma della visita. All’uscita da una chiesa, non ricordo se fosse la cattedrale, sul sagrato illuminato da un sole sfolgorante, Antonio Maccanico - al tempo segretario generale del Quirinale - si avvicinò pallido a Pertini. «Hanno ammazzato Walter Tobagi» (...)

(...) gli disse con voce emozionata. «Tobagi, il giornalista del Corriere. L’hanno ammazzato i terroristi». Ero lì a due passi da Pertini, che congiunse le mani in un gesto di angoscia e di sconforto insieme, e mormorò qualche parola, «tremendo, terribile». Così appresi che Walter era stato abbattuto dalla genìa di assassini che avevano fatto, negli anni di piombo, tante vittime, e altre ne avrebbero fatte. Si seppe poi che Tobagi, figlio di un ferroviere, capace di distinguersi presto nel difficile mondo della carta stampata, era stato abbattuto a rivoltellate da ragazzi viziati ed esaltati della cosiddetta buona borghesia. Cresciuti in ambienti che per convenzione devono essere definiti «intellettuali». L’inversione dei ruoli era agghiacciante.
Delle ragioni che l’avevano reso, povero Walter, un bersaglio delle «Forze comuniste combattenti» si è molto scritto e discusso. Di sicuro Tobagi non era, se vogliamo usare il termine logoro, un reazionario. Come polemista in erba della Zanzara, il foglietto del liceo Parini portato grottescamente in tribunale per un «pezzo» ritenuto trasgressivo, era sembrato in sintonia con la sinistra avversa a ogni tabù. Che ne aveva fatto un suo campioncino.
Tobagi era invece l’opposto del «rivoluzionario» parolaio e sguaiato. Aveva l’aspetto e l’eloquio di chi ama il dibattito pacato, e prima di affrontarlo legge molto, munendosi di validi argomenti. Ma si è sempre saputo e ripetuto che i riformisti sono per la sinistra-sinistra i peggiori nemici. Ad essi vengono preferiti gli estremisti di destra, che è più agevole confutare. Tobagi capiva le ragioni di chi ripudiava la società in cui allora si viveva e in cui ancora adesso si vive - fortunatamente con meno ammazzamenti - ma capiva anche quanto di torvamente criminale, di biecamente infantile, di velleitario e di insensato vi fosse nella smania omicida delle Br. La loro dissennatezza criminale diventava palese nelle lunghe, ampollose, presuntuose, stupide motivazioni con cui corredavano ogni impresa.
Tobagi era bravissimo nello smontare i congegni di una costruzione ideologica fondata sul vuoto o sul delirio. Per questo fu preso di mira. Ma anche perché era un obiettivo indifeso, facile. Quei guerriglieri erano cuori di coniglio, non di leone, e lo si vide per come sbracarono una volta catturati.
Sono stato molto vicino a Walter Tobagi nelle battaglie sindacali che lo portarono alla guida dell’Associazione lombarda dei giornalisti. Lui socialista, lui riformista, lui giovane e aperto ai giovani aveva convinto della bontà delle cause per cui si batteva anche chi, come me, era con Montanelli nel Giornale - al tempo bollato quale fascista - e subiva la qualifica sprezzante di «moderato». La «corrente» di Tobagi ebbe contro - nel nome della libertà di stampa e della democrazia, ovvio - sia la sinistra comunista sia la sinistra democristiana: l’una e l’altra miranti a una omogeneizzazione della stampa organizzata e dei comitati di redazione in forza della quale tutti i giornali si sarebbero dovuti assomigliare. Il cattocomunismo non è un’invenzione. Almeno nel sindacato dei giornalisti fu un fatto. Da costoro Tobagi era ritenuto nel migliore dei casi, con le sue relazioni documentate e pacate, un professorino noioso: nel peggiore un presunto progressista venduto ai padroni, prono a Craxi, alleato con i peggiori soggetti (me incluso).
Nessuna recriminazione né ora né 25 anni or sono, quando il misfatto si avverò e Walter Tobagi fu sacrificato agli idoli mostruosi del fanatismo. Osservo soltanto che nel coro - allora e oggi - di voci di elogio e di rimpianto per la perdita di un uomo straordinariamente per bene e di un talento giornalistico di prim’ordine c’è qualche stonatura, o se preferite qualche singolare cambiamento. I toni striduli che erano stati riservati al Tobagi vivo si sono trasformati in strazianti note funerarie. Niente di strano, siamo abituati a questo e ad altro.

Ma chi gli fu veramente accanto prima che morisse può almeno ricordare questo particolare non irrilevante.

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