Può bastare una medaglia? La medaglia d'oro è il gioiello della perfezione, da sola suscita la tentazione di cancellare tutto il resto. Ma nel caso dell'Italia olimpica non è così. Non può e non deve essere così. I riflessi abbaglianti del metallo prezioso non possono e non devono per nessun motivo nascondere il penoso strazio di queste nostre settimane bianche. Più del medagliere nudo e crudo, è proprio lo spirito da scolaresca in gita che non può assolutamente passare. Si può perdere, ma noi abbiamo fatto di più: abbiamo perso allegramente e impunemente, come se niente fosse, con spirito fintamente olimpico, come se soltanto per noi valesse la vecchia favola di De Coubertin dell'importante partecipare.
Partecipare un corno. Non è più tempo. Da molto tempo. È chiusa, remota, superata l'età romantica delle Olimpiadi come occasione di simpatico scambio culturale. Ha ragione il presidente del Coni, Petrucci, a chiedere conto. Per la cronaca, senza tante ipocrisie: il Coni spende tantissimi soldi - anche pubblici, anche nostri - per finanziare le federazioni. Tutte le federazioni. Pure quelle che continuano a spacciarsi per dopolavoristiche.
La realtà dello sport moderno è ben delineata: si lavora per vincere. E sottolineo il verbo lavorare: lo sport ai massimi livelli, in qualunque disciplina, è un lavoro. Soltanto il giapponese che esca dalla foresta sessant'anni dopo la fine della guerra può pensare che esistano ancora atleti dilettanti. Il tempo è passato, il mondo è cambiato: gli sport cosiddetti olimpici, per distinguerli da quelli dei mercenari tipo calcio e tipo basket Nba, non sono più una zona franca, frequentata da amabili temerari, molto volonterosi e molto naif, cui è un delitto chiedere risultati. Tanto tempo fa era così, forse. Ora non più. Ai massimi livelli, gli atleti di tutti i settori non occupano il tempo libero praticando l'hobby preferito: svolgono una professione.
E allora basta con la supposta sacralità degli atleti olimpici. Basta con questa anacronistica pretesa di impunità totale. Anche loro devono rispondere dei propri atti. Premiati per le vittorie, inquisiti per i disastri. Non esiste più la teoria poverinista che comunque li salva sempre con una pacca sulle spalle. Come gli odiati calciatori, che dopo due pareggi finiscono sulla graticola, così sciatori, pesisti, saltatori, pallavolisti, ciclisti, tennisti, rugbysti, tutti devono rendere conto del proprio lavoro. Nel bene e nel male. Così adesso deve avvenire al ritorno della sgangherata spedizione a Vancouver. Bisognerà porre qualche domanda, dovranno dare qualche risposta. A seguire, le conseguenze.
Quanto poi alla supposta superiorità morale degli sportivi olimpici, vediamo di dare un taglio definitivo anche a questa leggenda metropolitana. Siamo andati avanti per secoli con il comodo, banale, preconcetto raffronto tra i duri-e-puri dei cinque cerchi e i fetentoni del calcio. Tutti poeti disinteressati i primi, tutti minus-habens palancai i secondi. In qualche caso può ancora essere così, ma siamo alla marginalità dei fenomeni. In generale, le barriere sono cadute. La disillusione è sotto gli occhi di tutti: basta osservarli con gusto antropologico. È vero che l'atleta calciatore indulge volentieri agli ozi, alle veline e alla vita notturna. Gli altri, abbiamo sempre pensato, no. Ma era solo un abbaglio. Non erano diversi per Dna. Più semplicemente: erano diversi dai calciatori perché non si potevano permettere la vita dei calciatori. E anche gli stessi confronti che hanno sempre esibito con piglio vittimistico - loro ricchi e viziati, noi poveri e seri - non stanno più in piedi. Basta vederli all'opera non appena il mercato della bella vita, della televisione e del gossip spalanca loro le porte. Ci si avventano sopra allupatissimi. Sarà anche la fame arretrata, vai a sapere. Ma non appena raggiungono le pari opportunità riescono ad essere pure più invadenti e presenzialisti di qualunque calciatore medio. Qualche nome? A puro titolo di esempio: la Kostner, Montano, la Granbassi, Cipollini, Rosolino, Cassina, Fiona May, la Vezzali, Rosi e tutta la bella compagnia cantante dei sabati sera in tivù e delle paparazzate rosa. Nessun crimine, nessun delitto: ci mancherebbe. Solo compiaciute immersioni nel piacevole wellness della mondanità. Fanno benissimo. Liberissimi. Però per favore chiudiamola con le fregnacce delle isole felici, degli sport minori, degli atleti tanto candidi e innocenti.
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