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Dopo il trauma la paura del futuro: si cerca conforto nel Muro del pianto

da Gerusalemme

«Per ora cerchiamo di stordirci, di fare finta di essere in vacanza, soprattutto per i bambini: ma il più brutto sarà fra qualche giorno, quando ci dovremo interrogare sul domani», racconta Monique Zarbib, 50 anni, ebrea ortodossa moderata, espulsa giovedì sera dalla colonia di Netzer Hazani.
Con il marito e i sei figli, Monique ha trascorso la notte davanti al Muro del pianto, a Gerusalemme, il luogo più santo per gli ebrei. Con loro tanti altri evacuati dalle colonie di Gaza. «È dura, è una vita che ci hanno cancellato spazzandoci via, come la polvere che dà fastidio, sotto il tappeto», dice, amara.
Ariel Porat, 52 anni, è arrivato ieri notte dalla colonia di Gadid. È stato più fortunato. Per 40 famiglie evacuate dalla piccola colonia che ieri la polizia e l’esercito hanno finito di svuotare il governo aveva prenotato un albergo vicino a Gerusalemme. «La partenza dalla nostra casa, dove sono nati i nostri figli, in mezzo ai soldati, fra il fumo e le fiamme» dei copertoni incendiati «è stato un momento durissimo». Ma anche Ariel cerca di dimenticare, almeno per qualche giorno: «facciamo come se fossero vacanze, per ora, poi vedremo».
Ariel, che a Gadid aveva un’azienda agricola, ha trasferito i macchinari in Israele negli ultimi tre giorni. «Io sono pieno di energia, potrò ripartire. Ma i miei amici, che facevano gli agricoltori, a 50 anni chi gli darà lavoro? Quando sarà finita la “vacanza” fra qualche giorno il contatto con la nuova realtà sarà molto duro». Le autorità hanno offerto indennizzi fra i 200.000 e i 400.000 dollari a ogni famiglia di coloni evacuata, per la casa che hanno dovuto lasciare. Per molti la preoccupazione principale è il lavoro.
La priorità ora è aiutare i figli a superare il trauma dell’esodo. «I ragazzi devono ancora interiorizzare il fatto che questa non è una vacanza, e che non torneranno a casa», spiega Eithan Cohen, evacuato ieri da Neve Dekalim, la capitale delle colonie, con la moglie e i cinque figli. Anche la famiglia Cohen è ora in un albergo di Gerusalemme. «Ci hanno detto che le camere erano pagate per dieci giorni. Poi? Non sappiamo».
Secondo un sondaggio tra i coloni del Gush Katif, pubblicato dal Jerusalem Post, il 54% ha incubi ricorrenti a causa dell’evacuazione e della paura del domani.

Il 70% afferma di ritenere di avere perso il controllo della propria vita.

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