
A cosa serve la regia moderna di un'opera classica? A tradurre in termini attuali i contenuti di un capolavoro passato. Ma se il capolavoro si rivela più chiaro e più moderno della sua regia allora è corto circuito. Siamo nel buio più fitto con la regia "attuale" che Slava Dauberovna impone alla Traviata di Giuseppe Verdi, a Caracalla in Roma fino al 3 agosto: affastellando banalità scombinate a provocazioni fini a sé stesse produce un pasticcio.
Cosa aggiunge a Verdi mettere Corinne Winters (Violetta) in un body che trasforma una ricca cortigiana in una seminuda prostituta? Che senso ha abbigliare le "zingarelle", che la musica descrive vivaci e allegre, come luttuose prefiche da tragedia greca? Perché i ricchi borghesi alla festa di Flora sembrano, in canotta e bretelle, portuali da agitazione sindacale? Non scandalizza che Violetta muoia in ospedale (figuriamoci: lo fece già Pierluigi Samaritani, 50 anni fa); fa ridere, semmai, che in corsia la governante Annina si ripresenti vestita da suora (ha preso i voti nel frattempo?); che Violetta, all'invocato arrivo di Alfredo, si ficchi senza un perché sotto al letto; che Alfredo spasimi d'amore per lei rimanendole sempre a dieci metri, manco avesse il Covid. E a cosa allude quell'importuno ballerino a torso nudo, che s'agita inconcludente mentre Violetta agonizza? Si potrebbe continuare a lungo. A ricordare poesia e passione di una musica che lo spettacolo tenta in tutti i modi di affossare, provvede la direzione orchestrale di buon livello di Francesco Lanzillotta. Vittima di una regia che vuole "togliere romanticismo" la Winters offre una Violetta inerte, salvata solo dalla voce gradevole e dalla buona tecnica.
Al contrario agitato risulta l'Alfredo di Piotr Buszewski, che canta, con pronuncia imprecisa ma voce generosa, fra i seni giganti di un mega busto dorato, in una scenografia anonima continuamente percorsa da un distraente andirivieni di mobili e ballerini. La figura migliore la fa Luca Micheletti, Germont dal fraseggio chiaro e dal timbro brunito. Alla fine, mentre molti del pubblico abbandonano frettolosi la depressiva serata, molti altri l'applaudono. Inspiegabilmente.