nostro inviato a Montreal
Lewis Hamilton prodigio, la Ferrari che sente aria di crisi, il mondiale che si complica. Ci sarebbe molto da dire e raccontare. Solo che la F1 dei simulatori, delle play station, dei piloti nascosti negli abitacoli ha riscoperto qualcosa che aveva dimenticato: di essere pericolosa. E si è spaventata. Il miracolo di Robert Kubica, il pilota polacco della Bmw, il giovane ragazzone che corre con la dedica a papa Giovanni Paolo II sul casco ha risvegliato l'intero ambiente. Che ora si domanda: ma come diavolaccio ha fatto a salvarsi? Già, come ha fatto. «Francamente è un mix di fattori» racconta ancora scosso Riccardo Ceccarelli, medico e preparatore di molti piloti, fra questi proprio Robert. «Ci sono i progressi fatti nel campo della sicurezza di vetture e circuiti e nell'approccio alla preparazione fisica: non dimentichiamo che nel '94, questo, sarebbe stato un incidente mortale. Se, stavolta, a salvarlo abbia contribuito anche la devozione di Kubica a Papa Giovanni Paolo II? Non saprei, di certo, per riconsegnarcelo praticamente senza ammaccature, ci si è messo anche l'imponderabile, anche il destino».
Meglio, dunque, approfondire solo i fattori terreni alla base del miracolo Kubica. «Ai miei piloti, e Robert è uno di loro - spiega Ceccarelli - dico sempre che, in caso di traumi, un fisico forte e allenato è per forza di cose più resistente. Per esempio insisto molto perché allenino il collo. La motivazione che gli do è proprio che, in caso di incidente, sono più protetti se, intorno alla cervicale, ci sono dei muscoli con tre centimetri in più di spessore. Mi ricordo con Trulli, che debuttò all'improvviso in F1: arrivò da me che aveva un collo da F3, da go kart, normale o quasi. In un mese e mezzo intensivo di esercizi, riuscimmo a fargli aumentare di tre centimetri la circonferenza del collo. Ricordo quando mi disse che doveva cambiare tutte le camicie. Un simile allenamento garantisce che attorno alle cervicali ci sia una struttura muscolare molto più tonica che nel colpo di frusta va in contrattura. In un incidente molto violento, in una frazione di secondo i muscoli vanno immediatamente in spasmo e quanto è più forte questo spasmo, tanto più il collarino naturale ti protegge».
Sarà un caso, ma anche Kubica è stato sottoposto a questo tipo di allenamento. «Robert lo seguiamo costantemente: a volte viene da noi per degli stage molto intensivi, poi continua il lavoro con un preparatore che gli affianchiamo quando è via». Ceccarelli non ha dubbi: «Robert ha una tale volontà che avrà già rimosso l'incidente. Lo conobbi 15enne, ed era maturo come un trentenne. Nel 2004, su strada, fu coinvolto in un grave incidente mentre guidava un suo amico: omero fratturato in 5 punti e 18 viti. Dopo un mese rientrò in F3 e vinse».
Un miracolo frutto del grande allenamento e dei grandi progressi tecnici: si pensi all'abitacolo in fibra di carbonio, zailon si chiama, un materiale usato per i giubbotti antiproiettile; si pensi ai roll bar la cui resistenza viene testata da tre forze che agiscono contemporaneamente, una verticale e due laterali, la prima pari a 5 volte il peso della vettura e le altre due pari a tre volte. Si pensi alle pareti laterali che devono sopportare il crash test dinamico effettuato tramite l'impatto di una slitta di 780 chili che va a impattare a una velocità di 8 metri al secondo e che non devo deformarsi più di 5 mm. Roba da carro armato.
Comunque la si rigiri, si pensi anche a Papa Giovanni Paolo II. Da lassù qualcuno, stavolta ci ha visto bene.
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