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Tre immagini da un fallimento: l’emergenza nettezza urbana, i buchi nella sanità e la moltiplicazione di manager e consulenti. E l’oasi di Bagnoli resta una chimera Bassolino, favola finita: anche i Ds lo processano Dall’ascesa negli anni ’90 al degr

Il salto mancato ai vertici della Quercia

Luca Telese

da Roma

L’immagine da cui partire, per raccontare la storia lunga e complicata, quella di un’ascesa quasi favolistica e di un crepuscolo a metà strada tra dramma e farsa, potrebbe essere quella di una spiaggia, l’Arenile di Bagnoli. Secondo Antonio Bassolino doveva essere la «nuova Capri», di Napoli: nuovi stabilimenti, alberghi, una pioggia di investimenti pubblici e privati, il simbolo di una Napoli che cambiava, recuperava il suo degrado, inventava una nuova oasi dentro la città. Per capire come è andata nella realtà, invece, basta questa cartolina: chilometri e chilometri di spiaggia scomparsi sotto le passarelle di legno, un divieto - addirittura sanitario - di toccare la sabbia. La stessa amministrazione che sognava una nuova California a Bagnoli si è «dimenticata» di bonificare quella sabbia rimasta contaminata dalla deindustrializzazione.
1 La favola diventa realtà Se vuoi raccontare la storia di Antonio Bassolino, della sua fortuna e della sua disgrazia non puoi essere ingeneroso: devi ricordare la stagione di entusiasmo che aveva travolto una città nei primi anni Novanta, quando l’allora neosindaco, seppe costruire un progetto e dei simboli forti: sembrava quello di Napoli un «nuovo rinascimento», Si riapriva il portone del Palazzo Serra di Cassano, restituito a nuova vita dopo secoli di decadenza, si ristrutturavano il centro di Napoli, il suo salotto, Piazza Plebiscito. La città per un attimo era di nuovo capitale cosmopolita, come nemmeno quando era culla di un regno: emozione per i concerti di Pino Daniele e Lucio Dalla, fuochi d’artificio da far invidia agli imperatori Ming, e anche cose concretissime, come la metropolitana che vedeva la luce a tempi di record. Erano i giorni in cui Bassolino entrava nel presepe come pupazzetto e la sua zazzera sale e pepe acquisiva aurea di santità. Due biografie lo celebravano, persino un «nuovo cinema napoletano» gli nasceva intorno e gli trovava un ruolo in un film a episodi, I vesuviani in cui Mario Martone immaginava una sua «Salita», sul vulcano: una sorta di processione laica.
2 Delirio di onnipotenza.
È a questo punto che, come in un grande film epico americano, come se fosse una figurina di Michael Cimino, Oliver Stone o Martin Scorsese, Bassolino sembrava perdere contatto con la realtà: se cerchi un punto in cui i sogni iniziano a diventare favole, lo trovi nel peccato «di ubris», nel giorno in cui il delirio di onnipotenza lo porta a distruggere quello che ha appena costruito. Bassolino, tentato, accetta di fare il ministro: si sposta a Roma, lasciando il suo bravissimo vice - Riccardo Marone - a governare la città. Lo fa aggirando la legge, ma ci riesce. Per un attimo tutto sembra alla sua portata, pare ci sia solo l’imbarazzo della scelta: il governo, o il partito, magari tutti e due. Non volendo rinuciare a nessun sogno li perde entrambi. Resta sotto le macerie del governo D’Alema e deve tornare a Napoli, non più da vincitore, ma come un generale napoleonico in ritirata dopo essere arrivato alle porte di Mosca. E perde ogni appeal anche nei Ds, dove rimane sempre un «cacicco» (D’Alema dixit) ovvero un dirigente meridionale che non supera le sue colonne d’Ercole: a Roma c’è chi si ricorda ancora di quando aveva una corrente di sinistra del tre-virgola-briscola con Renato Nicolini, e vestiva improbabili giacche color senape. Ma anche a Napoli perde colpi: la magistratura gli azzoppa Marone, che implicato in una inchiesta sui parcheggi (da cui uscirà pulito), viene spedito a Montecitorio. E la città non prende bene la telenovela della candidatura alle Regionali, con tanto di azzeccagarbugli mobilitati per aggirare l’incompatibilità, dimissioni date e addirittura revocate. Bassolino vuol sempre di più, ottiene sempre meno. Non bastano le percentuali bulgare con cui viene rieletto ben tre volte, perché anche con il 90 per cento la sua distanza dall’agognata Roma resta invariata. E come una divinità annoiata e molto sicura di se stessa, inizia a perdere colpi: la ricetta dei primi successi, efficienza-onestà-nuova classe dirigente viene ribaltata.
3 Sogni tra i rifiuti. Il primo fallimento, come per tutti i migliori sogni di Napoli, è nei rifiuti: per quanto nominato commissario straordinario (dal governo di destra!) Bassolino tentenna: non resiste più alle pressioni dei gruppi di potere locale e di interesse, non riesce a costruire nemmeno uno dei termovalorizzatori necessari alla regione. La Campania finisce sotto cumuli di immondizia, la gente in piazza e per strada a protestare, fra blocchi stradali ad Acerra e serrate in città. Non è che l’inizio: la sanità, altra voce dolente, va in bancarotta: c’è un buco nero abissale nei bilanci, la Regione non riesce nemmeno a pagare le ricette ai farmacisti: e di nuovo rabbia, accuse, proteste, e serrate. Finisce l’efficienza manageriale, ma in compenso si moltiplicano i manager bassoliniani. Uno di loro, il deputato Pino Petrella, è sorpreso in palese conflitto di interesse: consulente del polo oncologico napolentano, deputato, e nel contempo responsabile sanità nazionale ds: un po’ troppo per uno che dovrebbe «controllare». Poi Petrella finisce nei guai per una intercettazione in cui ordina ad un manager di area diessina - Piero Cerato - di licenziare un dirigente per assumerne un altro. Penalmente non rilevante (perchè il manager non si è piegato), ma moralmente riprorevole. È il nuovo stile di governo, quello che l’ex sindaco di Benevento De Luca (acerrimo nemico di Basolino) chiama lo stile dei «Nuovi cafoni», profetizzando arresti ed inchieste. Intanto a Napoli la camorra spara uccidendo prima di tutto il sogno della legalità, la Jervolino perde credibilità, le periferie diventano peggio del Bronx, scoppia lo scandalo degli stipendi gonfiati, persino L’Espresso mette la classe dirigente ulivista sotto accusa. Un assessore interdetto dai pubblici uffici - l’udeurrino Luca Esposito - anzichè essere sbattuto fuori, viene addirittura premiato con una nuova poltrona (al turismo). La Campania è ultima (con la Sicilia, al 25 per cento) nel ricorso ai fondi europei. I ds mettono Bassolino sotto processo, persino un saggio moderato come Giorgio Napolitano approva un ordine del giorno sulla questione morale che parla di lui (pur senza nominarlo).

La favola è finita, adesso si spera che il viceré che avrebbe voluto conquistare il mondo, riesca ad arrivare alla fine del mandato prima che i «nuovi cafoni» e lo portino a fondo.

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