Roma - L’ordine di scuderia è di «abbassare i toni». Così, pure se l’ennesima uscita di Fini manda in fibrillazione tutti o quasi gli ex colonnelli di An e lascia decisamente spiazzato persino il Cavaliere, nel Pdl si guardano bene dall’alimentare la polemica. «A quattro giorni dal voto - è il ragionamento che fa in privato Berlusconi - sarebbe un suicidio». Ma è proprio la tempistica dell’ultima sortita del presidente della Camera a segnare in qualche modo il passo. Perché mentre il premier si è buttato nella campagna elettorale ormai da una decina di giorni, l’ex leader di An ha scelto invece la linea della prudenza. E ha messo la faccia solo su due convegni, uno con la finiana Polverini e l’altro con il socialista Caldoro (voluto fortissimamente in Campania dal suo braccio destro Bocchino). Salvo regalare una sequela di esternazioni culminate ieri in quello che è davvero difficile non leggere come una secca smentita al Cavaliere. Che a Torino rilancia sul presidenzialismo ipotizzando di affidarsi al voto popolare e meno di 24 ore dopo deve incassare la replica di Fini. «Per le riforme - dice - l’approccio non può essere basato sulle strumentalizzazioni di tipo propagandistico o legato al vantaggio, pur legittimo, che possa trovare questa o quella parte».
Il segno - è la lettura di tutto l’entourage del Cavaliere - che ormai i due sono su strade troppo diverse. E che il presidente della Camera - chiosa il vicecapogruppo a Montecitorio del Pdl Osvaldo Napoli - ragiona con una «prospettiva diversa» e guardando «ad altro». Insomma, che l’ex leader di An non sappia che fra quattro giorni si vota è impensabile. Come pure non è credibile che non abbia visto i sondaggi riservati che dicono chiaro e tondo che il problema del centrodestra è il rischio astensione. E dare il segnale di una così alta conflittualità interna non fa che aumentarlo, con il risultato di indebolire l’effetto della discesa in campo di Berlusconi in campagna elettorale.
Insomma, chiosa un ministro che ieri ha sentito il premier più d’una volta e preferisce l’anonimato perché «i chiarimenti li faremo da lunedì», è ormai evidente che Fini «ha altro in testa». La querelle sulle riforme, infatti, è solo l’ultimo tassello di quella che moltissimi nel Pdl e tutti nella Lega leggono come una «contro-campagna elettorale».
Il punto più alto perché arriva a poche ore dal voto e pure perché - dice Napoli - è da 32 anni che tre commissioni diverse (Bozzi, De Mita-Iotti e D’Alema) hanno provato a fare le riforme e «non si capisce davvero il senso di una frenata del genere».
O forse lo si capisce davvero dando una rapida scorsa all’archivio degli ultimi giorni. Con la bacchettata alla Lega del 17 marzo, perché «il federalismo deve essere gestito bene» visto che «c’è il rischio di una secessione morbida». Con la presa di distanza dalla manifestazione del 21 marzo in piazza San Giovanni, visto che l’ex leader di An fa sapere che non sarà presente proprio nel momento in cui il Cavaliere è in conferenza stampa insieme alla finiana Polverini per mettere una toppa al pasticcio delle liste. Affondi anche il 22 marzo, perché «il presidenzialismo non si può fare a colpi di slogan e battute da comizio» e perché in Veneto il Pdl «non deve essere una fotocopia dei lumbard».
Penultima puntata martedì scorso, quando il presidente della Camera torna sulla cittadinanza breve per i figli degli immigrati: «Senza di loro il tasso di natalità in Italia sarebbe da allarme rosso. Il concetto di Patria va riconsiderato in chiave multietnica». Parole che lasciano storditi i dirigenti Pdl del Nord Italia, visto che un travaso di voti dal Popolo della libertà alla Lega - basta chiedere a La Russa - è previsto proprio in ragione delle posizioni che ha Fini su questa questione. Che a prescindere dalla loro bontà, insiste Napoli, «non possono essere tema da snocciolare a poche ore dal voto» producendo il solo risultato di «spiazzare l’elettorato di centrodestra».
L’elenco dei tanti affondi della «contro-campagna elettorale» potrebbe essere ben più lungo, da FareFuturo a Generazione Italia passando per la querelle sullo Stato di polizia.
Al di là del silenzio ufficiale - sia dal fronte Berlusconi che da quello Fini - di certo c’è che ormai un redde rationem dopo il voto pare inevitabile.
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