Tre punte ma un solo obiettivo

Ora, dunque, per un po' di tempo dovremo occuparci, sembra, di questa storia delle tre punte con le quali la Casa delle libertà dovrebbe presentarsi alle elezioni politiche del 2006. La metafora, come tutti sanno, è presa dal mondo del pallone e speriamo che, alla fine, nel pallone non ci finisca proprio l'elettorato di centrodestra.
Nel 2001 di punte ce n'erano quattro. Le tre di oggi, Berlusconi, Casini e Fini (in ordine alfabetico) più Umberto Bossi. Ma non se ne parlò neanche. Risultò tutto naturale perché tutte le punte giocano nella stessa direzione, il capitano della squadra era uno e anche la porta dove doveva andare a finire il pallone era certa: il programma era chiaro, breve, forte.
Perché oggi, invece, sorge il problema? Perché la scelta del gioco a tre punte fa notizia? Perché - come è noto - l'impressione è che, magari, una delle tre punte dia per persa la partita e voglia indebolire le altre due o un'altra sola, quella che era capitano riconosciuto nell'altra partita (Berlusconi) per prepararsi alla partita dopo.
Malelingue. Fomentatori di liti e discordie. Speriamo.
Per come la vediamo noi di cose da proporre agli italiani ce ne sono ancora molte. Quelle dette e altre nella direzione di quelle dette. Il calo delle tasse, la riduzione della burocrazia, il calo del peso dello Stato nell'economia italiana, l'iniezione di dosi di concorrenza nella società e nel mercato italiano sono robe da illusionisti o sono ciò di cui l'Italia ha sommamente bisogno? E se non sono cose impossibili vale ancora la pena di fare politica per tutto questo o no? Come un giovane democristiano doc ebbe a dire una volta il livello di libertà raggiunto con i governi della Democrazia cristiana è il livello massimo raggiungibile in Italia oppure no? L'Italia di Enrico Cuccia, celebrata anche recentemente in un libro di Paolo Madron, è l'Italia oltre la quale c'è solo il declino o no?
A noi, con franchezza massima, ci interesserebbero delle risposte a queste domande. Prima di tutto. Poi, ma molto poi, la questione delle tre punte. Anche perché vorremmo sapere cosa vogliono fare le tre punte e poi decidere se, secondo noi, giocano la stessa partita o ne giocano due o, addirittura, tre. Tutto lecito. Tutto legittimo. Basterebbe saperlo in anticipo. Mica subito, con l'anticipo necessario per farsi un'idea di chi abbiamo davanti quando ci recheremo alle urne elettorali e per sapere se saranno tali o se saranno urne cinerarie atte a registrare un suicidio della Casa delle libertà.
Quei problemi cui abbiamo accennato sono vitali per la vita della gente e per la vita dell'economia e della società del nostro Paese.
Non sarebbe il caso di cominciare a pensare a parlare di qualcosa di comune, di importante, di comprensibile? Se le punte sono convinte di questo il resto viene di conseguenza. La legge elettorale proporzionale lo impone: differenziarsi non comporta dividersi, anzi vuol dire, verosimilmente, portare a casa più voti. Voti di gente che si riconosce in alcuni punti di programma comuni ma vuole votare l'accentuazione di un aspetto di programma piuttosto che un altro per rispetto della propria tradizione culturale o politica.
Ma è falso dire che chi vuole un programma con la famiglia (Udc) al centro debba distinguersi da chi vuole più rigore sull'immigrazione o sulla sicurezza (An), o da chi vuole ancora insistere sulle tasse e sul mercato (Fi). O queste sono tre parti di uno stesso programma o non se ne vedrà realizzata neanche una.

Infatti sono tre delle tanti parti di un programma liberale unico per il quale avrebbero senso anche le tre punte. Altrimenti, per cortesia, lasciate perdere. Gli italiani hanno già tanti problemi da fare a meno volentieri delle tre punte.

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