Ha sempre parlato poco, ora ha qualche ragione in più per farlo. Si sente ancora braccato, incompreso e soprattutto vittima di una profonda ingiustizia. Davide Rebellin, 40 anni compiuti il 9 agosto scorso, si porta dietro l'etichetta tutt'altro che piacevole di unico italiano capace di vincere una medaglia olimpica (ai Giochi di Pechino 2008) e farsela togliere per doping. Nell'ultracentenaria storia dello sport tutto, il ciclismo e Rebellin detengono questo triste record.
Dopo due anni di squalifica, il corridore veronese che ha anche problemi con il fisco per la sua residenza a Montecarlo, è tornato a correre il 27 aprile scorso. Con una piccola squadra, la Miche-Guerciotti, di terza divisione. In quei giorni Gianni Petrucci, presidente del Coni, dice: «Il ciclismo non vuole cambiare e non fa niente per farlo», tuona il numero uno dello sport italiano soprattutto alla luce delle dichiarazioni di Rebellin a pochi giorni dal suo ritorno alle competizioni.
«Torno a correre perché voglio dimostrare che io posso vincere da pulito sempre e comunque, perché è quello che ho sempre fatto», dichiara il veneto a metà febbraio a La Stampa. «Perché io a differenza di Basso, Scarponi e Di Luca non ho ammesso le mie colpe? Perché io a differenza loro non ho fatto proprio nulla. Non ho mai preso Cera, non ho colpe né peccati da espiare».
Ieri Davide Rebellin è tornato alla vittoria nella Tre Valli Varesine, classica italiana che ha aperto il Trittico Lombardo. La corsa è vissuta sulla lunga fuga di Brutt e Finetto. Nel finale gli uomini della Liquigas hanno ricucito la corsa. Quando tutto sembrava organizzato per il colpo di Peter Sagan, ecco all'ultimo chilometro l'attacco di Vincenzo Nibali. Il siciliano però non è riuscito a fare la differenza ed è stato ripreso da Pozzovivo e Rebellin. Ai 200 metri l'allungo decisivo del veneto. «L'arrivo era adatto a me - ha detto a caldo -. Questa vittoria ci voleva».
Il Trittico Lombardo prosegue oggi con la coppa Agostoni a Lissone.
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