Tremonti, il guardiano dei conti fa il primo della classe e sogna il premierato

Il ministro dell'Economia col vento in poppa: da Trichet (Bce) a Berlusconi è un coro di encomi. E il superministro culla nuove ambizioni. E i finiani si mettono al Lavoro per fare il contropiede al Pdl

Tremonti, il guardiano dei conti fa il primo 
della classe e sogna il premierato

Prima di tutto un dato di fondo, senza il quale non si capisce compiutamente che cosa è avvenuto il 28 e 29 marzo: il centrodestra ha ottenuto il successo elettorale pur tenendo salda la barra dei conti pubblici. La campagna della sinistra - più spesa per la ripresa - non ha funzionato, tutt’altro: si è confermato che non c’è correlazione fra spesa pubblica e voto. Del resto, qualcuno ricorderà che la Prima Repubblica non è caduta per troppo rigore. Per questo motivo il «manovratore» dei conti, Giulio Tremonti, si sente di incassare almeno in parte il risultato delle Regionali. Più che i riconoscimenti del Fondo monetario e della Commissione europea; più che il «bravo» del presidente della Bce Trichet, il ministro dell’Economia apprezza il buonsenso degli elettori. Lo usa come scudo per difendersi dalle richieste di provvidenze, che arrivano da ogni dove (anche da Parma). Ne potrebbe fare, in futuro, una piattaforma politica.
Oggi Tremonti trae dal voto motivi convincenti per non cambiare l’atteggiamento sui conti pubblici. Non si è iscritto certo al partito del rigore fine a se stesso, ma nel momento in cui i mercati attaccano non più i debiti privati delle banche ma i debiti degli Stati, riconosce che bisogna stare molto attenti. Dopo un eventuale e sciagurato ritorno alla dracma, qualcuno potrebbe essere tentato dal saggiare il ritorno alla lira. Per questo il ministro dell’Economia fatica a capire il perché di certi atteggiamenti - dell’opposizione, certo, ma anche di alcuni commentatori - che fanno le pulci alla possibile manovrina correttiva di giugno, non si sa bene se del 2010 o del 2011. Né comprende fino in fondo la richiesta di tagli alla spesa pubblica improduttiva da parte di qualcuno che scrive al Tesoro lettere per chiedere il ripristino degli sgravi sulle tariffe postali dei giornali (è una spesa produttiva o improduttiva, chi lo sa).
Tremonti è deciso a fare la riforma fiscale entro la legislatura. La questione è: la riforma significa anche la riduzione delle tasse? Se la risposta dovesse giungere oggi, sarebbe un «no». Fra tre anni tutto potrebbe cambiare, soprattutto se la crisi cesserà di essere un mutante che si ripresenta, sotto le più diverse forme, sullo scenario internazionale. Ma intanto si parte, con i primi decreti attuativi del federalismo fiscale (in particolare, il federalismo demaniale) in arrivo per giugno. Tre anni rappresentano un periodo congruo per la «riforma delle riforme». Ma chi si aspetta taglietti di imposte qua e là, resterà probabilmente deluso.
Questo è il contesto in cui il ministro dell’Economia si muove, anche dal punto di vista politico. Si fa un gran parlare in queste settimane di uno «schema Calderoli», che vede Silvio Berlusconi presidente al Quirinale (ma con quali poteri?) e Tremonti premier a palazzo Chigi. È uno scenario allettante, ma allo stesso tempo sicuramente prematuro. Come cambieranno gli assetti istituzionali? Quali saranno i rapporti di forza nel centrodestra? Tremonti accetterà di essere il primo premier con un presidente della Repubblica «pesante»? Le domande sono molte, e per il momento senza risposta. Certamente la prospettiva di un premierato non dispiace al ministro dell’Economia. Quel che Tremonti, intanto, non vuol correre è il «rischio Fini», di essere in qualche maniera sponsorizzato dalla sinistra e dall’intellighenzia in funzione anti-Berlusconi. È una strategia che non paga, lo si vede proprio nel caso del presidente della Camera che ha ingaggiato con il premier uno scontro non tattico, ma strategico. Lo dimostra il fatto che la contrapposizione sulle riforme non è cessata dopo le elezioni. Anzi, s’è acuita.
Il rapporto di Tremonti con Berlusconi, che dura fin dal ’94, ha visto alti e bassi. Ci fu il picco negativo con il «licenziamento» del ministro nel 2004 - richiamato poi come Cincinnato, quando nessuno sapeva come fare una legge finanziaria - e non è mancata qualche tensione più recente, come nell’autunno del 2009. Adesso il tempo sembra volgere al bello. E il Cavaliere lo riconosce pubblicamente, attribuendo al Professore il merito di aver salvaguardato, per quanto possibile, il Paese dagli effetti peggiori della crisi.

Sembra andare meno bene il rapporto con il resto della squadra di governo, in particolare con alcuni ministri di spesa. Migliora infine l’immagine. La comparsata televisiva ad Annozero ha mostrato un Tremonti rilassato come non mai, anche nei momenti più difficili. In prospettiva, non è cosa da poco.

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