Tremonti: «In Italia il lavoro c’è: gli immigrati sono tutti occupati»

Giulio Tremonti torna a parlare delle condizioni della nostra economia e questa volta parla di occupazione, mettendo in dubbio le cifre allarmanti che circolano con regolarità, soprattutto riguardo ai giovani senza lavoro. «In Italia ci sono quattro milioni di immigrati, tra cui moltissimi giovani che lavorano da mattina a sera e anche di notte. L’Italia è un paese che offre lavoro a certe condizioni a certe persone, evidentemente non c’è domanda per questi tipi di lavoro da parte di altri».
Lo ha spiegato il ministro dell’economia nella conferenza stampa al termine del International Monetary and Financial Committee del Fondo Monetario Internazionale a Washington. Tremonti ha invitato a domandarsi se l’Italia «è un paese in disoccupazione o in piena occupazione: non mi risulta che tra i giovani immigrati ci sia disoccupazione, è tutta gente che lavora tantissimo». E a chi gli chiede se sia il caso di chiudere all’immigrazione o se i giovani italiani debbano adeguarsi replica secco: «escludo la prima ipotesi». A chi poi gli ricordava che da noi c’è il 30% di disoccupazione giovanile il ministro ha replicato ribadendo: «Non mi risulta che ci sia disoccupazione tra i giovani immigrati, anzi lavorano e pure molto». La domanda, secondo il ministro, è invece un’altra ossia quali siano i lavori che vengono offerti agli immigrati.
Alla riunione di Washington si è parlato naturalmente della salute degli Stati nazionali e delle banche. «Non ci dispiace affatto che l’Italia sia fuori dalla lista dei Paesi con rischio sistemico», ha detto in proposito Giulio Tremonti dopo l’accordo raggiunto dal G20 sulle linee guida per individuare i paesi con potenziali rischi sistemici che dunque dovranno essere vigilati da vicino. Al momento sono stati individuati 7 paesi che inizialmente finiranno sotto la lente del G20 (ossia Usa, Giappone, Francia, Germania, Gran Bretagna, Cina e India) ma l’Italia non è tra questi.
«Dal G20 - ha detto - è stato stilato un elenco di paesi che hanno in sè un rischio sistemico, quindi non ci dispiace affatto essere fuori da quella lista. Non è stato ipotizzato il nostro ingresso e naturalmente non abbiamo spinto in questo senso. Per l’Italia è meglio non essere in quella lista».
Alla conferenza stampa finale anche il governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, presidente dal Financial Stability Board, che ha parlato della crisi europea: Grecia, Irlanda e Portogallo sono paesi che «stanno lavorando, ci sono piani, sono previsti profili di restituzione. Il resto sono idee», ha detto Draghi rispondendo a chi gli chiedeva come mai i mercati non sembrano credere e apprezzare i piani dei paesi salvati. E in merito all’aumento degli spread di questi paesi, Draghi ha detto: «Ci sono state dichiarazioni pubbliche che mettevano in dubbio la natura del salvataggio. Se guardate bene gli spread sono saliti in quei momenti».
Quanto alle banche, «Ci sono ancora sacche di debolezza», ha detto il governatore. E tra quelle impegnate ad aumentare il capitale, Draghi ha detto che si potrebbero «dividere in due categorie, quelle che possono aumentarlo e quelle che non lo possono fare. Le prime lo stanno facendo o lo faranno a breve, entro un anno, in ottemperanza della riforma di Basilea III».

Quelle che invece non possono farlo si trovano in questa situazione «o a causa di modelli di business sbagliati - ha rilevato Draghi - oppure a causa della loro esposizione ai rischi sovrani», cioè a causa delle troppe forzate emissioni di titoli di Stato dei loro paesi.

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