Tremonti lancia l'allarme e "bacchetta" il Sud: "Il vero problema? E' la questione meridionale"

Allarme di Tremonti: "Il Nord è l’area più ricca d’Europa, ma il Sud non cresce anzi arretra e spreca le risorse dell’Ue. Quest’anno rischia di perdere 6 miliardi". Ma il ministro è ottimista: "La medicina del debito pubblico è finita e la crescita non si realizza in un giorno"

Tremonti lancia l'allarme e "bacchetta" il Sud: 
"Il vero problema? E' la questione meridionale"

«Da Milano a Roma in treno ci vogliono tre ore; meglio che non vi dica quante ore ci vogliono da Roma a Reggio Calabria». Giulio Tremonti sa bene quante ore ci vogliono, lo ha provato di persona qualche mese fa in viaggio coi segretari di Cisl e Uil, Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti, tanto lungo che al ritorno ha preferito la corriera. Utilizza così la metafora ferroviaria per confermare a una platea di editori, imprenditori e studenti riuniti a Bagnaia per il convegno «Crescere fra le righe» che il problema nazionale non è il bilancio pubblico: è il Mezzogiorno.
L’Italia non cresce a sufficienza, dicono le cifre dell’Istat. Tutte le principali organizzazioni economiche internazionali, dal Fmi all’Ocse, affermano che è questo «il» problema italiano. Secondo il ministro dell’Economia, sono diversi i fattori che determinano la situazione. Uno su tutti è «un Sud che non avanza, ma anzi arretra, e che spreca le risorse europee tanto che si rischiano di perdere quest’anno sei miliardi di euro». Insomma, il Meridione è troppo lontano dal Nord, che al contrario è «la regione più ricca d’Europa». A questo si aggiungono almeno tre pesantissime palle al piede. Tremonti ricorda la vastità dell’economia illegale: il solo riciclaggio del danaro sporco pesa, secondo Bankitalia, per il 10% del Pil nazionale. Un secondo freno, aggiunge il ministro, è rappresentato dall’evasione fiscale che resta «imponente», anche se il governo ha recuperato 25 miliardi in tre anni. E c’è infine, fra i grandi problemi, la questione dimensionale delle imprese, con il 95% del Pil fatto da aziende con meno di 15 dipendenti.
Un insieme di questioni che pesa sull’economia italiana, e spiega le diverse velocità che si riscontrano in Europa. Ci sono Paesi, come la Germania, che crescono a ritmi molto sostenuti. Si parla di miracolo tedesco; la crescita al 4,9% negli ultimi dodici mesi ha provocato titoloni anche sui nostri giornali. «Benissimo, ma per cinque anni - ricorda il ministro dell’Economia - siamo stati davanti a loro, poi la Germania ha fatto di più ed è avvenuto un cambiamento. Non è detto che, fra qualche anno, non ci si trovi in una posizione ribaltata». Inoltre, dopo la crisi Berlino ha superato Roma nella classifica mondiale del debito più alto, anche se non in rapporto al pil, e dunque «welcome Germania», ironizza Tremonti.
Il quadro internazionale è, del resto, ancora incerto. «I fattori scatenanti della crisi sono ancora tutti in essere: la finanza derivata, la finanza deviata, la finanza fine a se stessa». E in Europa c’è la questione del debito, che le istituzioni comunitarie dovranno affrontare emendando i trattati. Tremonti osserva che nei matrimoni si parla di unione «nella buona e nella cattiva sorte»; nei trattati europei, invece, «si parla solo di buona sorte».
In questo contesto, è illusorio pensare che la crescita si possa fare attraverso la spesa pubblica, come sostiene il centrosinistra. «La medicina del debito pubblico è finita - dice Tremonti - e il governo ha tenuto insieme il bilancio pubblico, la coesione sociale, il risparmio delle famiglie». Ha fatto spesa pubblica soltanto per finanziare la spesa sociale. C’è da pensare alla crescita, che «non si fa in un giorno, a non la fa un uomo solo». Per fortuna, aggiunge, ci sono gli italiani, i lavoratori, gli imprenditori, otto milioni di partite Iva «che sono fattore di forza e non di debolezza».
Tra le cose fatte, Tremonti ricorda anche il decreto sviluppo varato nei giorni scorsi, e non rinuncia a togliersi il sassolino dalla scarpa sulla questione delle concessioni demaniali, che hanno provocato polemiche a non finire e un intervento del Quirinale, seguito da una modifica al provvedimento che riduce le concessioni da 90 a 20 anni.

«Quello che ho trovato realmente pittoresco - osserva il ministro - è che tutta l’attenzione si è puntata sulle spiagge, di cui posso dire adesso che non me ne frega un tubo. La cosa importante del decreto sono i distretti turistici che sono in rete con, in più, la zona a burocrazia zero» per il rilancio del turismo.

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