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Tremonti si pente: "Fisco meno oppressivo"

Anche l’uomo dei numeri e del rigore si converte e sposa una linea più libertaria: "Serve un criterio che diminuisca la frequenza dei controlli nelle aziende. Gli imprenditori hanno il diritto di dire: Non assillateci più di tanto"

Roma - Basta con l’oppressione sulle imprese. I controlli fiscali, le visite più o meno a sorpresa (e sempre sgradite), e la burocrazia stringono alla gola le aziende procurando costi eccessivi: non solo in termini strettamente economici, ma anche di tempo perso, di stress e di eventuale corruzione. «È un tipo di meccanismo non di pressione ma di oppressione fiscale, che dobbiamo interrompere», assicura Giulio Tremonti in Parlamento. Una promessa a lungo attesa dagli imprenditori; e tanto più vincolante in quanto proviene da chi, come ministro dell’Economia e delle Finanze, assai spesso i controlli li dispone.

Non si tratta di ridurre le tasse, operazione temeraria visto quel che succede in Europa, ma di tagliare i costi impropri a carico delle aziende. «Esclusi i settori sensibili come la sicurezza sul lavoro - spiega Tremonti in un’audizione alla commissione Finanze della Camera - potremmo immaginare e trovare un criterio che, salve le esigenze erariali, riduca il continuo meccanismo di frequentazione delle imprese, per cui vanno via i vigili urbani e arrivano gli ispettori. Se troviamo un modo - aggiunge, rivolgendo un invito alla collaborazione bipartisan - facciamo un servizio a milioni di imprenditori. Devono avere il diritto di dire: non mi rompete più di tanto...».

Per assolvere i soli pagamenti richiesti dal fisco, le piccole e medie imprese perdono mediamente 285 ore l’anno, con un prelievo fiscale pari al 68,6% degli utili realizzati dall’azienda. Il costo medio della burocrazia su una piccola impresa varia fra i 1.200 e i 1.500 euro l’anno per addetto. Un record in Europa, un vero e proprio salasso. I quattro principali adempimenti fiscali costano alle imprese 2,7 miliardi di pura burocrazia. Nessuno ci guadagna, neppure l’erario. E lo stesso Tremonti ricorda che quotare in Borsa un’impresa da 80 milioni costa l’8%, «una follia».

Tremonti, è evidente, sfonda una porta aperta. Da tempo immemorabile le imprese lamentano non soltanto il peso del fisco, ma anche i costi e l’oppressione della burocrazia. Dopo le parole, ora il ministro è atteso alla prova del nove. Luigi Abete, presidente della Bnl, ricorda che il fisco «meno oppressivo» dipende proprio dal ministro dell’Economia: «Se ritiene che sia opportuno ridurre i controlli eccessivi e invasivi, lo faccia». Commenti positivi in Confindustria, e non potrebbe essere altrimenti. «Non possiamo che essere d’accordo - commenta la vicepresidente Diana Bracco - ma ora si tratta di vedere i fatti. Allentare i controlli è positivo per tutte le imprese - aggiunge - i dettagli si metteranno a punto, ma è importante che la cosa si faccia». L’annuncio del ministro è positivo, dice a sua volta un altro vicepresidente degli industriali, Alberto Bombassei, anche perché «l’evasione non è tanto nelle grandi imprese, ma un po’ dappertutto».

Si cerca anche di dare impulso alle crescita dell’economia. Ai primi di maggio il governo dovrebbe approvare un primo pacchetto di misure a favore dello sviluppo, che conterrà anche un credito d’imposta del 90% per invogliare i privati a investire nella ricerca, un riordino complessivo degli stanziamenti per il Sud, un piano di opere pubbliche, edilizia abitativa e turismo. «Abbiamo ragione di ritenere che il nostro Piano nazionale delle riforme sarà apprezzato a Bruxelles e dai partner europei», afferma Tremonti. Mentre, al contrario, le proposte dell’opposizione «non supererebbero i dieci minuti di vita all’esame di Eurostat».

Il ministro dell’Economia parla anche del decreto «anti-scalate», varato dal governo per arginare l’offensiva francese su Parmalat. È importante che sia convertito rapidamente in legge, e «non ci sono ragioni per fare delle modifiche» al testo, che riguarda non un singolo caso ma la generalità delle aziende. «La miglior difesa - sostiene - è l’attacco, perché il problema economico di questo paese non è difendere, ma sviluppare». La Cassa depositi e prestiti, che rappresenterà l’architrave dell’intervento pubblico a favore delle imprese strategiche, «man mano che cresce si sposterà verso l’economia privata.

È dunque giusto - conclude Tremonti - trasformarla in società per azioni».

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