Dal treno al ristorante (e perfino a messa) piccoli cafoni crescono

Caro Direttore,
non si metta a ridere per quello che sto per sottoporle ma, mi creda, non le scriverei se non considerassi questo problema, se non serio, almeno meritevole di essere considerato. Non so, Direttore, se lei è un frequentatore delle Sante Messe. Io lo sono, da sempre, e c’è una cosa che, di tutto il rito, guardo con timore: lo scambio della pace. Non mi fraintenda: non mi riferisco al gesto simbolico in sé che ha, ovviamente, le sue valenze importanti ma a quello che viene prima.
Ebbene, sarà la legge di Murphy o sarà che sono particolarmente sfortunato ma una domenica sì e l’altra pure, finisco sempre con il sedermi vicino a persone che, prima dello scambio, si starnutiscono sulla mano. Lei starà sorridendo, lo so, ma io vado in crisi perché non le nego lo schifo, unito all’imbarazzo di rifiutarti di dare la mano al vicino. Tanto che sto inventandomi strategie precise per evitare il contatto come quella di sedermi il più isolato possibile, il fingere di cercare i soldi per le offerte ignorando così il vicino, l’alzarmi un attimo prima dello scambio per recarmi al confessionale, far finta di dover soffiare il naso a mio figlio che mi guarda con occhi stupiti non avendo il raffreddore. Lei mi dirà: e io che ci posso fare? Niente direttore, ma, magari, leggendo su queste pagine la mia lettera, a qualcuno verrà lo scrupolo, la prossima volta, di tirare fuori dalle tasche, in tempo, il fazzoletto (non capisco perché sia così difficile). O a qualche parrocchia verrà l’idea di distribuire fazzolettini per le mani come quando mangi il pesce al ristorante.

Caro Frigerio, non mi metto affatto a ridere, anzi. La stretta di mano con residuo di starnuto incluso nella pace non è che uno dei tanti segni di una maleducazione diffusa. Ha mai preso un Eurostar? Nonostante la raccomandazione di Trenitalia di spostarsi negli spazi fra i vagoni, o quantomeno di parlare a bassa voce, tutti telefonano facendo sfoggio di ugole d’acciaio. Alla fine del viaggio, la gran parte dei passeggeri ci ha informato su come sta la moglie, la mamma, la zia; non di rado sappiamo anche quante volte il pupo ha fatto popò. Curiosamente, poi, queste autobiografie declamate sul treno illustrano sempre vite di successo: gente che magari ha un modesto impiego urla al cellulare di milioni di euro spostati da un conto all’altro, di cessioni di rami d’azienda, di fusioni. Mai una volta che si senta qualcuno dire: oggi il mio capo ha detto che sono un pirla. Al ristorante non manca mai il commensale che a fine pasto ci parla tenendo in bocca uno stuzzicadenti come Humphrey Bogart teneva la Lucky Strike; al bar, il maledetto che pur di non lasciarci il posto al bancone fa roteare per mezz’ora la tazzina del caffè. Quanto alla maleducazione nel traffico automobilistico, non mi ci soffermo, essendoci un’ampia letteratura in proposito; mi domando solo (visto che lei invoca la legge di Murphy per la stretta di mano con starnuto) in base a quale legge metafisica, o psicologica, ogni sosta al semaforo sia dedicata alla pulizia delle narici.

Insomma, caro Frigerio, siamo tutti un po’ maleducati, e quindi la capisco perfettamente e le stringo la mano (via giornale, ovviamente: perché non si sa mai).

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