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Trent'anni di calvario sotto Aquila selvaggia

Nel 1978 Nordio prova a riorganizzare Alitalia: sarà sciopero. Da allora piloti e assistenti hanno vita facile. Nel 1987 i comandanti chiedono aumenti del 60%, nel 2003 lo "sciopero" dei certificati medici. A Fiumicino c'è chi non festeggia: posto  a rischio

Trent'anni di calvario sotto Aquila selvaggia

da Milano

La vicenda che più è rimasta scolpita nella memoria degli italiani risale al giugno 2003: 988 assistenti di volo dell’Alitalia presentarono contemporaneamente il certificato medico all’azienda e si non si presentarono al lavoro. Non fu uno sciopero, fu un’epidemia. La compagnia restò paralizzata, laciando a terra decine di migliaia di passeggeri inferociti. Furono spedite lettere di richiamo e inoltrate denunce al giudice del lavoro. Tutto finì, com’era prevedibile, in fumo.
Ma che cosa contrapponeva hostess e steward al vertice della compagnia, a quell’epoca impersonato da Francesco Mengozzi? Quest’ultimo - che si ritrovò a gestire la crisi dell’11 settembre - cercò di intervenire con il bisturi sul numero dei membri degli equipaggi dell’Md80; poiché il personale è in numero proporzionale al numero dei posti, Mengozzi fece togliere alcune poltroncine per abbattere il parametro e rinunciare a un dipendente. L’epilogo fu un dietrofront dell’azienda umiliante e costoso.
Lo strapotere del personale di volo in una compagnia aerea deriva da un fatto connaturato all’attività: senza piloti e senza hostess un aereo non decolla. Si tratta di professionalità specializzate, rare sul mercato e non fungibili come quelle di minatori o muratori. La formazione da zero di un pilota costa non meno di due anni di tempo e 250mila euro d’investimento.
Ma è negli anni Settanta che i nuovi ruoli si delineano. Il mondo cambia: il trasporto aereo diventa un fatto di massa, e il ’68 ha rivoluzionato le relazioni sindacali. Il combinato di questi due elementi per Alitalia è devastante. Alla fine di quegli anni, nel 1978, il presidente Umberto Nordio cerca di mettere mano all’organizzazione della società, perseguendo obiettivi di efficienza: intuisce, con lungimiranza, che il monopolio è al declino e che in tempi medi le protezioni crolleranno. Si scontra con i piloti: l’azienda persegue maggiore produttività e vuole un nuovo contratto che scrosti i privilegi di quella che anche allora, come oggi, era una corporazione compatta. Lo scontro degenera in sciopero: quel periodo fu battezzato Aquila selvaggia, e fu un momento storico per l’azienda. Quattro settimane di blocco, passeggeri esasperati, compagnia allo sbando. Nordio non viene spalleggiato dal suo azionista Iri: con il presidente di allora, Romano Prodi, ha un rapporto rugginoso e pieno di contrasti. Prodi lo vorrebbe più asservito alla pace sindacale, Nordio resiste.
Alla fine vinsero i piloti, e fu il «peccato originale»: da allora l’azienda non seppe più anticipare i grandi eventi (la deregulation in Europa ebbe un’applicazione progressiva negli anni successivi), ma cercò soltanto di rincorrerli affannosamente.
I piloti sono stati sempre una casta sindacale, con andamento crescente. Nel 1987 chiedono un aumento dello stipendio del 60 per cento: un pilota di Jumbo vuole «recuperare il potere d’acquisto» passando da 5 a 8 milioni al mese netti. Ma non è questo, quello retributivo, il loro definitivo consolidamento. Questo arriva in un momento successivo: nel 1994, un altro anno-chiave. Al comando di Alitalia s’insedia Roberto Schisano, detto il «texano» perché ha lavorato alla Texas instrumets. Il suo esordio ricorda tempi recenti: «La compagnia ha solo 500 giorni di vita», dichiara. Oggi i giorni sono dieci, ma il senso non cambia. Con lui arrivano in flotta dei Boeing 767 nuovi di zecca e anziché assumere nuovi piloti, l’Alitalia ne «affitta» in Australia, a condizioni più vantaggiose. È la seconda Aquila selvaggia, la compagnia viene ricattata e paralizzata dagli scioperi, con occupazione delle piste. La vertenza è durissima. Schisano prende una scorciatoia e firma in sordina un accordo con i piloti per aumenti astronomici, che la stessa azienda e l’azionista Iri (presieduto in quel momento da Michele Tedeschi) disconoscono tanto da avviare un’azione di responsabilità nei confronti del manager.
Il passo successivo è il coinvolgimento dei piloti nella gestione dell’azienda (che nel primo semestre del 1995 perde 240 miliardi di lire). Il 15 settembre di quell’anno Schisano firma un ponderoso ordine di servizio teso a smorzare la conflittualità sindacale. Viene creata una nuova direzione «pianificazione, programmazione e coordinamento operativo» ed è affidata all’ex presidente dell’Anpac, il sindacato dei piloti. Questa direzione deve provvedere «alla pianificazione e alla programmazione delle rotazioni degli aeromobili e degli equipaggi». Un potere enorme sul personale e sull’attività complessiva della compagnia. Non è tutto: viene creato un comitato per la guida delle carriere dei 1.700 piloti dell’Alitalia, che ha potere assoluto sui due punti chiave della carriera di un pilota, l’idoneità al comando e il cambio di aeromobile. Il comitato è formato da sei membri, quattro dei quali piloti in servizio. Uno di questi, il direttore delle operazioni di volo, è un uomo di fiducia dell’Anpac. Quindi il sindacato, di fatto, gestisce le carriere dei piloti: è un’azienda nell’azienda.
Il potere acquisito dall’Anpac trova consacrazione l’anno successivo, nell’era Cempella, quando il suo presidente, Augusto Angioletti, fa ingresso nel consiglio di amministrazione in rappresentanza dei dipendenti-azionisti. Nel 2001, sotto l’amministrazione Mengozzi, Angioletti viene nominato amministratore delegato di Eurofly, la compagnia charter del gruppo Alitalia. Quando si decide di vendere la controllata, a rilevarla è un pool di investitori organizzati dallo stesso Angioletti, che viene confermato amministratore delegato a 850 mila euro all’anno.

Più di Michael O’Leary, deus ex machina di Ryanair, quasi alla pari di Jean-Cyril Spinetta, presidente e amministratore delegato di Air France-Klm, la più grande compagnia del mondo.

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