Trentatré artisti riuniti a castello

«Siamo qui e siamo vivi» scrive Luciano Caramel nel saggio che introduce il catalogo alla mostra «Scultura Internazionale ad Agliè», da lui curata nello scenario dell’antica tenuta sabauda sulle colline del Canavese (fino a domenica prossima). Visitare la collettiva è anche un modo per conoscere il borgo alle porte di Torino su cui svetta il castello ducale, attorniato dall’elegante parco. Ma è anche un’occasione per constatare che la scultura contemporanea non è affatto «una lingua morta», come scriveva Arturo Martini a metà del Novecento. Ad Agliè sono infatti approdate interessanti opere di grandi dimensioni di trentatré artisti italiani, svizzeri e giapponesi, collocate nel parco del castello e in alcune delle sue sale. I nomi: Giò Pomodoro e Franco Garelli, innanzi tutto, e poi Pietro Cascella, Giuliano Vangi, Masayuki Koorida e altri ancora.
Pittura, grafica e video-arte sembrano aver preso il sopravvento sulla scultura, tecnica che pare disorientare gli artisti (e il pubblico) più di ogni altra. Ma la selezione di Luciano Caramel dimostra, con le punte di eccellenza di Pomodoro e Garelli (artista piemontese scomparso negli anni Settanta e finalmente riscoperto grazie all’esposizione di opere in ferro tagliato, come Tubo del ’66), che la scultura contemporanea ha voglia di comunicare. Purché si abbia la pazienza di ascoltarla.
C’era tuttavia un secondo pericolo per un’esibizione come questa che vanta un contesto architettonico così particolare, già cornice anche di un noto sceneggiato tv: quella di trasformarsi - lo dice bene Caramel - in un bel contenitore di divertimento estetico ma di poca sostanza. Il rischio è stato evitato grazie alla selezione e alla sapiente collocazione delle opere: le sculture en plein air, poste in uno spazio settecentesco fortemente strutturato, sono state messe in rapporto con la storicità che le circonda. Si tratta di un dialogo provvisorio, perché l’esposizione non è permanente.
Le eccellenze in mostra sono quelle di Garelli e Pomodoro: i ferri rimaneggiati dal primo sono il segno di un paesaggio nuovo, quello metropolitano e industriale, che deve fare i conti con la natura; mentre Giò Pomodoro, presente anche con Colloquio col figlio e Due, rielabora in chiave moderna l’antico tema del doppio richiamandosi agli stilemi classici dei kouros greci.

Ci sono poi i profili imponenti di Giuliano Vangi, le sculture geometriche di Pietro Cascella, gli acciai cromati di Carlo Borer, i fiori giganti, quasi fossero dei fumetti, di Koorida, i graniti di André Raboud, l’esposizione luminosa di Ito Takamichi, i grandi legni intagliati di Klaus Prior.

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