Trento e Bolzano scippano le centrali idroelettriche

Colpo di mano al Senato cambia padrone agli impianti

da Milano

«L’energia è mia e me la gestisco io»: lo slogan, a dire il vero, era leggermente diverso, ma nelle Province di Trento e Bolzano lo hanno aggiornato, complice la debolezza del governo Prodi. È bastato un piccolo, e soprattutto inosservato (o quasi) emendamento al decreto «mille proroghe», per fare lo scippo delle centrali elettriche. Le centrali delle due province, infatti, sono date in concessione a Enel e Edison: la concessione scadeva nel 2010, ma nel 2005 il governo Berlusconi le aveva prorogate al 2020 in cambio di investimenti per l’ammodernamento. Ed era successo il putiferio: Trento e Bolzano si erano opposte perchè volevano prendersi gli impianti. Bolzano aveva minacciato di non tener conto della finanziaria. In tempi di privatizzazioni e liberalizzazioni andavano un po’ controcorrente, ma tant’è... Si tratta di una cinquantina di centrali che nel 2005 hanno prodotto un sesto dell’intero idroelettrico italiano: circa 6,7 miliardi di Kwh su un totale di 43 miliardi. Un «pacchetto» che significa soldi e potere a livello locale e non solo.
Il gioco è stato semplice: nel «mille proroghe» ora è detto che le concessioni vengono prorogate al 2020 per tutte le Regioni, tranne le Province di Trento e Bolzano. E il Senato l’ha votato. Come mai? Semplicemente perchè al Senato il governo Prodi è ostaggio di qualsiasi lobby che possa contare almeno su qualche senatore: sei senatori bolzanini e trentini (tre della Sud Tiroler e tre dell’Ulivo) hanno avvisato che senza il loro voto il decreto non passava, a meno che non ci fosse l’emendamento. Che puntualmente è arrivato.
Le due province sono al terzo posto in Italia per produzione idroelettrica, dopo Lombardia e Piemonte (rispettivamente con 9,5 e 6,9 miliardi di Kwh) e distanziano largamente la Val d’Aosta che ne produce solo 2,7. Adesso non resta che attendere che anche Milano e Torino vogliano mettere le mani sulle centrali delle loro Regioni. Sempre che la Sicilia non decida di tornare alla carica per mettere le tasse sui gasdotti.
Il problema di fondo è uno solo: che senso ha che due Province decidano di gestire (e di investire soldi dei contribuenti) in centrali idroelettriche, quando ci sono già delle società che ne gestiscono dieci volte tante e che hanno esperienza, capacità e tecnologie che le Province non hanno? A rischio ci sono gli investimenti programmati in vista del prolungamento delle concessioni, oltre al fatto che le aziende che dovrebbero cedere le centrali sono quotate in Borsa e i contraccolpi sarebbero difficilemente evitabili.


La partita, comunque, è tutt’altro che chiusa: adesso il decreto deve passare alla Camera, dove la maggioranza è più stabile, e non è detto che non possa essere rivisto, non diversamente dal colpo di spugna sui reati contro la pubblica amministrazione, anche quello dovuto alle lobby trasversali. Senza contare che se le Province dovessero assumere il controllo delle centrali, quasi certamente si scontrerebbero con la normativa europea.

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