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Treu: «Quel viaggio a Copenaghen per convincere Ds e Rifondazione»

Una settimana di studio sul campo per i responsabili Lavoro dei 3 partiti

Treu: «Quel viaggio a Copenaghen per convincere Ds e Rifondazione»

da Milano

Il modello danese di mercato del lavoro nel programma dell’Unione? Per capire, bisogna tornare indietro nel tempo di qualche mese. All’inizio di giugno, quando Tiziano Treu, già ministro del Lavoro del governo Prodi e ora responsabile del settore nella Margherita, prese un’iniziativa inconsueta. «Convinsi i responsabili Lavoro di Ds e Rifondazione, Cesare Damiano e Paolo Ferrero, a fare un viaggio in Scandinavia per andare a vedere come funziona il mercato del lavoro».
Treu, docente universitario, considera quello scandinavo «il miglior modello alternativo a quello americano», ma un conto sono i libri e i convegni, un altro è vedere di persona. E così i tre partono per una settimana a Copenaghen e Malmoe per parlare con politici, sindacalisti, imprenditori e responsabili dei centri per l’impiego.
«I politici danesi sono tutti giovani, sia i parlamentari che i dirigenti di partito», racconta Treu. Il primo incontro è con Kim Mortensen, vicepresidente della Commissione lavoro del Parlamento, «un ragazzone biondo di 38 anni» che spiega agli italiani come funziona il sistema danese: la flessibilità spinta del mercato del lavoro stimola gli investimenti delle imprese, lo Stato stende una rete di protezione per chi perde il lavoro. Solo il licenziamento discriminatorio (per motivi sessuali, razziali, politici) è illecito. Risultato: un terzo della popolazione cambia lavoro ogni anno. E l’economia cresce.
«Questo il leit motiv ripetuto con orgoglio da tutti, compresi i sindacalisti», ricorda Treu. Sicché quando i tre italiani raccontano di aver resistito sulle barricate contro la riforma dell’articolo 18, gli interlocutori danesi restano perplessi. «Loro non si pongono il problema, il licenziamento non è un dramma perché chi perde il posto sa di essere aiutato a trovarne un altro e dal primo giorno ha un’indennità tra il 70 e l’80 per cento della retribuzione».
Gli italiani parlano con Mogens Lykketoft, ex presidente dei socialdemocratici e ministro, «che ricorda D’Alema per baffetti e loquela tagliente». Poi visitano due centri per l’impiego a Copenaghen e Malmoe. E ne restano colpiti: «Sono grandi, centrali, moderni, attrezzati, distribuiti su tutto il territorio. Ai call center ci sono dipendenti ben istruiti, non cococo. E poi non ci sono code».
Incontrano un italiano che vive in Svezia da 25 anni. Ha perso il lavoro, frequenta un corso di un anno e mezzo per diventare cuoco. «Era felice».
Spiega Treu: «Dicono che l’Italia è diversa dalla Danimarca? Vero, ma i principi restano validi». E la legge Biagi? «Per la sinistra è un tabù. In realtà è più inutile che dannosa. Cancellarla? No, basta sfrondare alcune tipologie di contratti più estremi come il job on call. Per i lavoratori significano ansia e precarietà, alle imprese servono poco. Bastano quattro contratti: part time, tempo determinato, interinale e apprendistato. L’errore di questo governo è stato partire dall’articolo 18. Non si può dare la mazzata in testa se non si ha pronta la medicina.

Prima bisogna creare gli ammortizzatori sociali».

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