
A trascinarli in certi tribunali speciali della critica letteraria, molti capolavori cumulerebbero un numero cospicuo di anni di galera. Persino La montagna incantata di Thomas Mann, sottoposta a scrutinio, rivelerebbe una quantità di squilibri, a cominciare dal fatto che non ha un finale. La stessa riflessione si adatta al romanzo d'esordio di Matteo Quaglia: si attende invano un explicit. Eppure Volevamo magia (Nottetempo, pagg. 160, euro 14,90) è un romanzo riuscito e che resta impresso nella memoria. Il talento narrativo dell'autore è corroborato da una serie di scelte spiazzanti; a cominciare dall'ambientazione, una Trieste che scansa l'aneddotica più usurata (il solito Svevo, il solito Joyce) per andare a pescare il nesso fra compagnie di assicurazioni e letteratura. L'assicuratore delle Generali Franz Kafka, naturalmente: che non visitò mai Trieste, ma che imparò l'italiano perché sperava di esservi trasferito.
Il protagonista del romanzo, iscritto a Legge, dopo la laurea si occuperà di polizze, ma intanto frequenta l'ambiente degli studenti di lettere e in particolare il cenacolo che ruota attorno alla rivista che la facoltà «aveva promosso per istituzionalizzare la deriva radical chic cui si era votata la cultura universitaria». Le atmosfere, che ricordano I detective selvaggi di Bolaño, sono hard boilded: molti dialoghi si svolgono al telefono, tutti fumano come turchi e soprattutto si beve senza freni. Nel ruolo di Mefistofele, Bottiglieri, studente «noto per essere un gran giocatore d'azzardo, oltre che un assiduo lettore di Camus. Anche lui era iscritto a Giurisprudenza, ma era come se tentasse di sfuggire a un lancio di coltelli». Scroccata l'ennesima banconota in cambio di un'informazione, Bottiglieri è l'anello di congiunzione con Ludovica: narcotrafficante, lettrice di Carrère e attrice nel filone del cinema horror del Nord-Est.
Una sera Ludovica si lascia accompagnare a casa, fa balenare la mela proibita e poi si dilegua, lasciandosi dietro una scia di misteri che tolgono il sonno. È la perfetta donna fatale per un romanzo che strizza l'occhio al lettore medio nello stesso istante in cui ne ridimensiona i miti, i tic, gli automatismi intellettuali.